REGIA: Jonathan Glazer
CAST: Nicole Kidman, Lauren Bacall
Recensione n.1
Per parlare di quest’opera partiremo dal finale.
Il finale di un film, sappiamo bene, gioca una parte importante, soprattutto per il genere “soprannaturale”, perché è il momento dei chiarimenti, delle spiegazioni, delle delucidazioni. E’ nel finale che si vede se un regista è capace di reggere un gioco che ha creato (come spesso succede con l’arcinoto M.Night Shyamalan), oppure anche il contrario, se il regista è totalmente disorientato nel suo stesso puzzle. Quest’ultimo è il caso di Jonathan Glazer, che sfruttando una tematica interessante come la reincarnazione, spreca però il tutto con un finale buttato nel fango. Ciò che manca in Glazer è il coraggio di finire ciò che ha iniziato, lasciando agli spettatori una conclusione paradossalmente aperta che non possiamo né dobbiamo accettare in quanto produrrebbe troppe seghe mentali sicuramente inutili.
La messa in scena non ha bisogno di particolari tecniche per ricreare una godibile atmosfera da mistero e paranormale, in quanto il plot lavora di per sé.
Glazer, grazie anche e soprattutto alla solita bravura di Nicole Kidman, riesce a trarre dal tema “reincarnazione” un distinto approccio all’amore, perché di questo essenzialmente si tratta: amore. L’affetto di una vedova in procinto di risposarsi che poco prima del matrimonio si ritrova davanti un bambino di 9 anni che afferma di essere la reincarnazione di suo marito Sean, morto tempo prima. E il senso logico cessa completamente di esistere, la pazzia inizia quasi a correre nelle vene. “E’ veramente Sean? E se non lo fosse, come fa a sapere tutte quelle cose sulla nostra vita matrimoniale? E perché nel corpo di un bambino di 9 anni?”. Davanti ad eventi come questo, la razionalità scompare, la protagonista è pronta ad andare contro tutti e tutte (il suo nuovo fidanzato, la madre, ecc..) pur di riabbracciare ed incoronare nuovamente il suo sogno d’amore.
“Sai che cosa facciamo? Scappiamo da qui, lontano da tutti, e fra 11 anni, quando tu avrai 21 anni, ci risposeremo” – Una frase agghiacciante pronunciata da una Nicole Kidman totalmente distrutta ma nel contempo stesso speranzosa.
Ma nonostante il bel “complotto” creatosi tra il tema e Glazer, Birth è un film fin troppo impersonale, che avrebbe necessitato di un regista più marcato, non solo per regalarci un lavoro d’autore più imprimibile, ma anche un finale più.. non diciamo coraggioso.. ma almeno deciso. E il voto non può che essere un 6 tiratissimo.
Pierre Hombrebueno
Recensione n.2
“A VOLTE RITORNANO”
Nicole Kidman continua a rischiare, alternando ruoli in megaproduzioni destinate al successo (l’ultima in ordine di tempo lo sciocchino “La donna perfetta”) a progetti meno sicuri, in cui e’ la sua adesione a garantire l’attenzione dei media, la distribuzione e il riscontro del pubblico. Succede con “Birth”, del poco conosciuto Jonathan Glazer (regista dell’apprezzato “Sexy Beast”), che riesce a riunire un cast sontuoso (tra gli altri, Lauren Bacall, Danny Houston, Anne Heche) per raccontare una complessa storia di ossessione. La giovane Anna, vedova da dieci anni, e’ in procinto di risposarsi, quando le bussa alla porta di casa un bambino che afferma di essere Sean, l’ex marito defunto. La progressione narrativa, pur nel disequilibrio con cui e’ costruito il racconto (i genitori del ragazzo sono poco piu’ che comparse mentre potrebbero avere un ruolo decisivo), riesce a rendere credibili gli sviluppi e le reazioni dei personaggi, molto attenta ai risvolti psicologici e ad evitare fasulle scene ad effetto. Almeno fino a quando non si esagera (Danny Houston che pieno di rabbia fa pu-pu sul culetto del bambino suscita una certa ilarita’) e i nodi vengono al pettine attraverso una soluzione, per fortuna a mezze tinte, che suona pero’ appiccicata, e comunque non regge. Sembra infatti un contentino per gli spettatori il tentativo di razionalizzare una vicenda che ha il suo fascino maggiore proprio nell’assenza di ragionevolezza. Cosi’ come non convince la sequenza finale in riva al mare, piu’ accattivante che esplicativa. Demeriti e ambiguita’ a parte, il film ha un piglio originale ed intimista che non lo fa rientrare in un genere specifico; spazia dal fantastico al dramma e non disdegna una tensione da thriller. Fotografia e scenografia riflettono con cura lo stato d’animo crepuscolare dei personaggi, con interni ovattati e ricoperti da soffocanti carte da parati ed esterni invernali immersi nel plumbeo. Il film conferma inoltre le doti interpretative di Nicole Kidman, vera mattatrice della pellicola, sempre misurata e mai strabordante, capace di reggere virtuosistici primi piani (il piano sequenza a teatro) e perfetto specchio dell’interiorita’ del difficile personaggio. Inutili le polemiche, tutte a beneficio della promozione, sulle scandalose (in realta’ innocue e quanto mai caste) scene tra la Kidman e il bambino, il bravo e in ascesa Cameron Bright. VOTO: 6,5
Luca Baroncini de Gli Spietati
Recensione n.3
Anna, vedova da 10 anni di Sean, sta per risposarsi con Joseph. Improvvisamente piomba nella sua vita un bambino (che si chiama Sean), nato poco dopo la morte del marito, il quale sostiene di essere la reincarnazione del Sean che ha reso vedova Anna. Inizia per la donna un periodo di forte dubbio e tensione psicologica che la spinge – anche a causa dei fatti molto personali e addirittura intimi che il ragazzino dimostra di conoscere – a crede anch’ella a questo caso di metempsicosi.
La trama del film si regge su uno spunto abbastanza esile e procede anche in modo tutto sommato prevedibile. Tuttavia, anche grazie alla regia di Glazer, il film riesce a costruirsi una bella atmosfera, impalpabile ed intrigante, che permette a Birth di tenere sempre piuttosto desto l’interesse dei suoi spettatori. Forse nell’insieme non è molto, ma considerando che i film con un punto di partenza così essenziale (per quanto insolito), sono indubbiamente rischiosi e spesso votati ad un fallimento totale, Birth ne esce abbastanza bene.
La regia di Jonathan Glazer crea grande atmosfera, suggerisce l’attesa degli eventi, si serve di ben calcolati fuori campo prima di permettere allo spettatore di vedere l’elemento portante di una scena. Glazer inoltre ha la non secondaria capcità di capire l’importanza degli attori, tanto dà dare molto spazio alle loro doti recitative.
Quest’ultimo è di gran lungo il dato più evidente e piacevole del film. Non c’è infatti un attore fuori parte, né il giovane esodiente Cameron Bright (il piccolo Sean), né la sempre splendida e brava Nicole Kidman (Anna), della quale basterebbe citare l’intensissimo e lungo primo piano nella sala del concerto, né la grande Lauren Bacall per la quale basta il nome. Non sono comunque da meno tutti gli altri interpreti, in particolare Danny Huston (Jospeh).
Birth è un film che con difficoltà incontrerà l’apprezzamento del pubblico. Già a Venezia era andato incontro a dei fischi, ma è indubbio che una materia estremamente complessa, in qualunque modo la si indaghi, difficilmente soddisferà tutti. Si tratta insomma di uno di quei film che va meditato a lungo e solo il tempo ci dirà se potrà incontrare il favore che per ora non sembra avere (potrebbe insomma capitare quello che a suo tempo accadde a L’avventura di Antonioni, fischiato al Festival di Venezia, dove però la giuria lo premio, e oggi considerato dalla maggioranza dei cinefili un capolavoro).
Per cercare di spingere il fim, prima dell’uscita s’era detto di un bacio proibito fra Nicole Kidman e Cameron Bright, ma di fatto, al di là del significato che esso assume nella trama del film, all’atto pratico non è poi molto diverso da un castissimo bacio che una madre può dare al proprio figlio. E non è da meno la scena i bagno, in cui la Kidman e Bright sono entrambi nella vasca: c’è soprattutto tensione tra i due, non certo attrazione, e soprattutto c’è da dire che il cinema lasca spesso intravedere ciò che nella realtà ha tutt’altro aspetto.
Per concludere, Birth (scritto dal regista con Jean Claude Carrière – già co-sceneggiatore di Buñuel – e Milo Addica) è un film imperfetto, con una conclusione non del tutto convincente, ma con una sfoggio di grandi interpreti e visivamente caratterizzato da preziose atmosfere, elementi più che sufficienti a renderlo un’opera non liquidabile con un semplice fischio.
Sergio Gatti
Birth di Jonathan Glazer a Venezia 2004
Nicole Kidman protagonista di questo toccante film, in cui una donna vede in un bimbo di 10 anni il marito reincarnato. Rimane per tutto il film il dubbio sulla reale identità del bambino. Questa ambiguità, unita alla regia e alla fotografia scarna e cupa, fanno del film un’opera lucidamente allucinata. Uno scavo nell’interiorità di una donna sofferente. Imperdibile inquadratura fissa sulla sgomenta Kidman, della durata di qualche minuto…da vedere. 7
VC