Regia di Pupi Avati
Soggetto e Sceneggiatura: Pupi Avati
Montaggio: Amedeo Salfa
Fotografia: Pasquale Rachini
Scenografia: Simona Migliotti
Musica: Riz Ortolani
Interpreti: Claudio Santamaria, Paolo Briguglia, Vittoria Puccini, Johnny Dorelli, Augusto Fornari, Alessio Modica, Enrico Salimbeni, Selvaggia Quattrini, Eliana Miglio
Produzione: Antonio Avati per Rai Cinema e DueA Film
Distribuzione: 01 Distribution Durata: 1h e 46’

Recensione n.1

Gianca e Nick sono due ventenni bolognesi che si conoscono nel 1994 a Perugia durante lo stage per giovani musicisti di Umbria Jazz. Li unisce la passione per la musica, ma l’amore per una ragazza finirà per dividerli.
“CARTOLINE DA BOLOGNA”
Bologna, il jazz, gli incroci affettivi non sempre vincenti, il fallimento delle illusioni e un retrogusto amaro. C’è tutto il Pupi Avati pensiero nell’ultima opera del regista emiliano (pare la più autobiografica). Ed è interessante entrare in una “storia di ragazzi e di ragazze” in cui le pulsioni e il talento si trovano a fronteggiare avversari non certo facili come la quotidianità, i sogni e il destino. Così come fa piacere invischiarsi ancora una volta nelle tinte pastello tipiche di Avati, in cui qualche battuta spiritosa strappa il sorriso mentre una poco virtuosa consapevolezza si insinua nei personaggi. Anche i due protagonisti se la cavano: Paolo Briguglia ha un ruolo più ingrato rispetto a Claudio Santamaria, ma è più duttile e regala maggiori sfumature al suo personaggio. Ai consueti “garbato”, “gentile”, “pacato”, “gradevole”, che accompagnano spesso l’umanità messa in scena da Avati, si devono però aggiungere aggettivi meno qualificanti come “sciatto”, “superficiale” e “televisivo”, purtroppo sempre più frequenti nella filmografia recente del regista. “Sciatta”, infatti, è la confezione, con un doppiaggio poco curato spesso sfasato rispetto al labiale degli attori, per non parlare della musica, elemento tutt’altro che marginale, fondamentale nella narrazione come specchio dell’emotività dei protagonisti, e invece troppe volte unita fuori sincrono alle immagini. “Superficiale”, poi, è la sceneggiatura, che mette tanta carne al fuoco ma nel tirare le fila perde per strada qualche dissidio o lo risolve velocemente, dal rapporto con il padre frustrato (un bravo Johnny Dorelli), alla metafora forzata con astri e comete (con tanto di lunghe e ridondanti didascalie), fino ai crucci inspiegati della protagonista, perno della storia ma solo sfiorata nella psicologia (non è quindi tutta colpa del viso da bambolina di Vittoria Puccini se il suo personaggio non lascia traccia). E “televisivo” è l’andamento del racconto, in cui prevale l’affiancamento degli eventi sulla loro forza, aggravato da una piattezza d’insieme e da alcune scelte di regia da soap (interno con dialoghi – panoramica di Bologna – altro interno e altri dialoghi). La visceralità degli affetti, il sudore della musica, la fatica di vivere accettando i propri limiti, arrivano quindi filtrati dal tubo catodico, sempre in agguato, e da uno sguardo non certo immune dagli stereotipi. A garantire all’anima di uscire allo scoperto, o perlomeno di affacciarsi, è il riuscito tema musicale di Riz Ortolani, che riesce a dare evidenza al non detto, mettendo quindi in secondo piano omissioni e facilonerie, e a dare coesione alla vicenda. Può sembrare poco, ma nell’economia del film non lo è.VOTO: 6

Luca Baroncini de Gli Spietati

Recensione n.2

Nemmeno la passione più grande potrà mai donare quella capacità straordinaria ed innata che è il talento, quel meravigilioso dono di natura capace di portare verso il successo e l’affermazione, verso quel traguardo tanto agognato ma allo stesso tempo effimero e sfuggente. Le persone che possiedono questo dono sono come delle comete che ti passano accanto, che ti colpiscono ed affascinano con la loro luce e che poi, dopo che ne hai goduto per un po’, si allontanano per sparire per sempre. E’ da questa idea e da questa metafora che prende avvio il nuovo film di Pupi Avati in cui, a ritmo di jazz, si racconta la soria dell’amicizia e dell’intreccio delle vite di due ragazzi, Nick e Gianca, diversi per carattere e condizione sociale. In un percorso che va a ritroso nella memoria ripercorriamo insieme a Gianca, in un viaggio lungo 10 anni, i momenti fondamentali del loro rapporto, a partire dal primo incontro avvenuto sul treno che dalla loro Bologna li avrebbe portati a Perugia alla scuola di Umbria jazz; qui i due vi approdano per motivi molto diversi, Nick (Claudio Santamaria) un po’ per caso perchè è così che da autodidattata ha cominciato a suonare la tromba, Gianca (Paolo Briguglia), invece, perchè spinto dal padre (Jonny Dorelli), jazzista mancato, che riversa sul figlio le sue frustrazioni e vede in lui uno strumento per potersi riscattare e godere, seppur indirettamante, di quel successo che desiderava per se’. Se questo amore per il jazz sarà l’elemento che li unirà, alla fine sarà anche la causa del loro allontanamento; la passione e l’impegno di Gianca, infatti, non saranno sufficienti per equiparare il talento di Nick che finirà per manifestarsi in modo improvviso ed inaspettato durante una delle esibizioni del loro gruppo, il “Joy Spring Quintet”. Quando queste sue incredibili capacità rimaste nascoste fino ad allora emergeranno, Nick si allontanerà da loro per viaggiare da solo, lasciando nei suoi compagni d’avventura rimpianto e delusione per il dissolversi dei sogni di gloria collettiva, tanto che Gianca, quasi ripercorrendo le sorti del padre, deciderà di abbandonare la musica e dedicarsi alla poco creativa attività di commercialista. Ma le vite dei due amici torneranno ad intrecciarsi e questo grazie o a causa di Francesca (Vittoria Puccini), una delle più belle ragazze della Bologna bene, personaggio che si affaccia sulle loro esistenze proprio in quel momento della vita in cui un ragazzo si chiede: ma quando arrivano le ragazze? I due si troveranno nuovamente uniti da una passione comune ma se per la musica sarà il talento a portare al successo, in questo caso sarà il sentimento a prevalere.
Avati torna al cinema dopo il “Cuore Altrove”, e ci propone un film in cui si ritrovano elementi caratteristici della sua produzione, come i temi dell’amore, dell’amicizia tradita, il legame con la musica, quella jazz in particolare, già trattato in “Jazz band” del 1978. Ancora una volta è il dato autobiografico a prevalere e portare il regista a lavorare sulla memoria creando dei personaggi specchio della sua vita, personaggi che inseguono i loro sogni ed il cui destino è segnato in modo decisivo da un incontro casuale. Tutte queste componenti, unite alla tradizionale atmosfera amara e malinconica di Avati, fanno di “Ma quando arrivano le ragazze?”, una delle migliori opere della sua filmografia. VOTO: 8

Silvia Benassi