REGIA: James Wan
CAST: Tobin Bell, Ken Leung, Danny Glover
Recensione n.1
Questo James Wan, qui alla sua opera prima, ha proprio esordito col botto. Se sia un filmetto furbo per compiacersi anche i piu’ restii detrattori del genere, non e’ dato saperlo, ad ogni modo e’ certo che ha colpito nel segno. Delirante, malato, spiazzante, torbido, disturbante… L’idea di base, che sembra rubata a Cube, si dipana in maniera totalmente diversa da come ci si apettava inizialmente.
Girato con due soldi e pochissime location il film tiene inchiodati alla poltrona per tutti i 100 minuti di film, in cui atmosfere alla Seven aleggiano insistentemente e rimandano quasi ad un Argento prima maniera, dove tutto si basa sull’inqudratura, sulla colonna sonora, o semplicemente sulla rumoristica di fondo. Seppur imperfetto, il film
ha il pregio di non cadere mai nel banale anche se alcune cosette si potevano rifinire meglio per rendere il tutto un poco piu’ fluido, come ad esempio i continui (e a volte fastidiosi) flashback a ritroso che spesso rischiano di spezzare il proseguio della storia.
Non mancano comunque i colpi di scena, anche se piu’ virato al thriller si respira decisamente un’aria pesante, e il finale (ingegnoso ma se ne potrebbe discutere ampiamente sulla sua credibilita’) e’ la classica ciliegina sulla torta che chiude tutto in bellezza (si fa per dire!). Voto: 7 e 1/2
The Wolf
Recensione n.2
I raccordi temporali come optional
La prima mezz’ora di questo Saw – L’Enigmista, è veramente girata bene. Anzi, diciamo pure che in complesso, le inquadrature e i movimenti di macchina sono perfettamente concilianti con la narrazione filmica per tutta la pellicola.
Questo si nota soprattutto nelle scene con protagonisti i due prigionieri. L’abilità di Wan consiste nella pura funzionalità della macchina da presa come indagatore psicologica, invece che descrittiva. Numerosi quindi i primissimi piani per cogliere appieno la disperazione dei protagonisti, le soggettive iniziali per dare il senso di perdita, e i veloci e caotici movimenti di macchina per imprimere appunto il caos mentale, totalmente allucinogeno. Con questa precisione dei raccordi, il regista sfrutta bene lo spazio filmico che gli è predisposto, riuscendo a girarci attorno con precisa attenzione per cogliere ogni dettaglio funzionale in chiave psicologica. Il problema della pellicola, ahimè, è invece il raccordo temporale, complice un montaggio che non la pensa come il regista, che non sembra affinare con lo spazio ciò che è la funzionalità complementare del tempo.
I sintagmi non seguono un preciso schema narrativo, e di conseguenza i flashback sembrerebbero inseriti a casaccio, e non solo, addirittura ci si addentra ancor di più nel lasso temporale aggiungendo dei flashback dentro i flashback, con unità sintattiche a graffe, inserti diegetici/dislocati fuori dalla narrazione filmica.
Se l’intento è quello di una struttura d’aggressione, che non segue apposta i raccordi temporali per ricreare un’atmosfera ancora più allucinogena, il risultato è invece un grande contrasto della scansione, anche se il problema non sarebbe questo, bensì il relativo calo ritmico dal passaggio di un sintagma all’atro. Così invece di accrescere la tensione filmica, il regista tende a darci pause inutili, giocare con le tecniche videoclippare di velocissimi montage-sequence, suscitando nello spettatore anche quel senso marcio di deja vù.
Pierre Hombrebueno
Recensione n.3
Due uomini si ritrovano incatenati in una specie di luridissimo bagno. Apparentemente non si conoscono, non sanno né perché si trovano in questa situazione, né ricordano come ci sono arrivati. Al centro del bagno c’è un cadavere immerso in una pozza di sangue: in mano ha una pistola (con cui dev’essersi sparato) e un registratore. Grazie ad indizi e al riaffiorare di ricordi e verità nascoste, i due uomini si rendono conto di essere vittime di un serial killer davvero originale, poiché pretende che uno due ammazzi l’altro, altrimenti moriranno entrambi.
Innumerevoli sono i film sui killer seriali, ma quest’ultimo riesce a rinnovare notevolmente il genere. Innanzitutto il misterioso omicida non uccide con le proprie mani, ma mette le sue vittime in condizione di uccidersi o uccidere qualcun altro, ma anche, se vengono in qualche modo a capo del macabro gioco a cui le sottopone, di salvarsi (e ad una donna, che è riuscita a sfuggire alla sua terribile prova, ha realmente risparmiato la vita). Secondariamente il motive che lo muovo è, in un certo qual modo, “nobile”: egli vuole far capire ai suoi malcapitati l’importanza della vita (il killer infatti rapisce solo persone che, per vari motivi e in vario modo, avrebbero dimostrato un certo disprezzo per la vita).
Ad ulteriore pregio di Saw sta anche la non linearità della vicenda che si snoda interrompendosi di continuo con dei flashback e, da un certo punto in poi, dividendo l’azione del presente in due e poi tre teatri d’azioni parallele. Il tutto non genera mai confusione e nemmeno l’incredibile e complicata macchinosità degli eventi a cui sono sottoposti i due protagonisti risulta eccessivamente confusa. Interessante in fine anche la scelta del colpo di scena conclusivo (che apre ad un sequel già in cantiere).
James Wan destreggia bene la palpitante tensione che attraversa tutto il film con uno stile piuttosto classico, ma sempre adeguato alla vicenda. Infastidisce invece di più quando abbandona le caratteristiche di ripresa che percorrono gran parte del film, per concedersi qualche momento scena accelerata che fa un po’ troppo videoclip e che, francamente, aggiunge dell’ironia là dove non se ne sente proprio il bisogno. In particolare questo si avverte nel flashback che mostra il percorso mortale seguito dalla prima delle vittime in mezzo ad un groviglio di filo spinato (o qualcosa di simile): le immagine velocizzate rischiano di aggiungere comicità ad una scena di morte tutt’altro che bella a vedersi. Similmente avviene anche in una scena d’inseguimento tra due auto.
A parte questo il lavoro di Wan è comunque quasi sempre all’altezza e riesce a mantenere costantemente desta l’attenzione dello spettatore fornendo anche qualche dettaglio che con uno sforzo d’immaginazione potrebbe anche aiutare il pubblico a capire che è il serial killer.
Qualche piccola pecca si può trovare anche in sceneggiatura (scritta da Leigh Whannell su soggetto suo e del regista), sebbene infatti l’estrema macchinosità funzioni piuttosto correttamente, ci sono certi passaggi non ben chiari, diciamo certe tempistiche non del tutto cristalline.
Davvero bravi tutti gli attori (Leigh Whannell, Cary Elwes e Danny Glover, anche se quest’ultimo è un po’ troppo caricato).
Complessivamente Saw è thriller molto originale e appassionanate, estremamente violento (ma curiosamente non vietato) e certamente non adatto ai più sensibili. Per tutti gli altri, 102’ minuti di tensione che non abbandona quasi mai.
Sergio Gatti