Un film di Wes Craven
Scritto da Kevin Williamson
Con Cristina Ricci, Shannon Elizabett, Scott Foley
Horror, USA 2004
Difficile dire se ci si debba rammaricare oppure gioire dinanzi alla nuova “creatura” di Wes Craven. Il papà di Freddy Krueger ricostituisce, assieme allo sceneggiatore Kevin Williamson, la magica accoppiata di Scream, ma questo nuovo Cursed è opera radicalmente diversa. La vicenda infatti, di per sé, non ci dice niente di particolarmente nuovo, e latitano i colpi di scena ed i continui falsi tracciati che Williamson è solito utilizzare. La vicenda della lenta acquisizione di consapevolezza, da parte dei protagonisti, della trasformazione in lupi mannari è stata narrata decine di volte, e davvero c’è da chiedersi se questo film sia necessario. Mi sia consentito almeno un cenno, giacchè non è possibile approfondire in questa sede, sulla nostalgia per i bei tempi andati del new horror cinema: qui, come già avvenuto del resto anche in Scream, Craven si preoccupa solo del meccanismo cinematografico, rinunciando completamente a scavare tra le falle della società americana per raccontarci le sue contraddizioni, i suoi segreti nascosti, la sua malvagità (chi non conosce il primo Craven si recuperi L’ultima casa da sinistra e Le colline hanno gli occhi, oltre naturalmente al capolavoro Il serpente e l’arcobaleno). Dunque un film brutto? No, direi piuttosto un film minore, forse concepito volutamente come un episodio marginale della propria filmografia, successivo al bagno di popolarità raggiunto dal precedente Scream (la saga). L’inizio al fulmicotone, pieno di movimenti di macchina veloci e di stacchi improvvisi, denota una minore cura per l’aspetto prettamente visivo, e del resto tutto il film ha un impianto registico tradizionale. Senonché il regista si dimostra talmente bravo nella costruzione dei singoli episodi di tensione, si pensi alla sequenza iniziale dell’incidente sul Mulholland Drive, che la vena da fiction dominante nei passaggi familiari (Ellie sul lavoro, Jimmy al liceo) pare quasi voluta.
Ma la sufficienza Craven la raggiunge per la “vocazione” che sorregge l’opera, cioè a dire un’idea di cinema artigianale, genuinamente indipendente, propria dell’horror della New Line prima maniera per intenderci (simile a quella che ha ispirato l’ultimo film di Carpenter, Fantasmi da Marte), che il regista cerca di mantenere, nonostante noi spettatori sappiamo benissimo di trovarci dinnanzi ad una grossa produzione. Probabilmente è questa la chiave di lettura più interessante: se con Scream il cineasta aveva trasformato la vecchia casa di produzione paladina dei cineasti horror indipendenti, rendendola una major, con quest’ultima pellicola, pur lavorando con budget e mezzi da capogiro, dimostra di non tradire la propria filosofia autoriale: si pensi all’uccisione finale del lupo mannaro, un omaggio ai bestioni di cartapesta alla Inoshiro Honda, oppure ad alcune sequenze, soprattutto quelle nel bosco, girate con un’immagine sgranata e molto sporca che niente ha da condividere con l’impianto visivo high tech e patinato dei blockbuster holliwoodiani. Infine, un cenno ai protagonisti: l’interprete di Jimmy è perfetto nella parte dell’adolescente “sfigato”, umiliato e deriso, che grazie al marchio della bestia diventa un duro, mentre Cristina Ricci gronda fascino perverso ad ogni inquadratura, e si candida al ruolo di dark lady per l’horror che verrà (buono, speriamo).
VOTO: 6
Mauro Tagliabue