Regia: Danny e Oxide Pang
Interpreti: Philip Kwok, Jesdaporn Pholdee, Shu Qi, Eugenia Yuan
Horror, Hong Kong/Thailandia 2004, dur. 98’

Dopo il successo occidentale del primo film dei fratelli Pang, uno dei primi horror con gli occhi a mandorla ad aver invaso il nostro mercato (The ring, lo ricordo, non ha avuto questa fortuna, essendo stato rifatto dagli americani, così come The grudge) era inevitabile aspettarsi un sequel. E se il primo capitolo non era certo un capolavoro, anche questa nuova puntata non si solleva certamente al di sopra della media del “genere”. Con una differenza rispetto alla precedente pellicola: il film è scandalosamente de-genere, sembra quasi farsi vanto della sua vocazione da cinema minore, senza effetti speciali (o quasi) e con una storia che più dissonante non si può, e che scivola spesso oltre i limiti del kitsch… Vediamola: Joey è disperata perché il suo ragazzo l’ha abbandonata, simula un tentativo di suicidio e da quel giorno strane e terrificanti visioni iniziano a perseguitarla, finché scopre di essere incinta e che uno spirito malvagio vuole impossessarsi dell’anima del suo bambino. Il film è a dir poco scadente dal punto di vista narrativo, basti pensare che Joey rimane sola per tutto il film, e non rivela a nessuno il suo segreto; possibile non abbia un amico, una famiglia? Il fidanzato Sam compare solo in alcune telefonate, l’amica anch’essa incinta ricopre ahimè un ruolo assolutamente marginale. La parentesi buddista è poi un capolavoro del cattivo gusto: la protagonista si ritrova in una comunità di malati terminali di cancro che hanno abbracciato da poco la nuova fede, e qui Joey viene indottrinata ai fondamenti della reincarnazione. Insomma un po’ Rosemary’s Baby un po’ Bertolucci, per un cocktail davvero pazzesco! Sotto l’aspetto prettamente cinematografico, il film sposa tutte le convenzioni del “new asiatic horror cinema”, l’ossessione tecnologica (non se ne può più di telefonini e ascensori…) la colonna sonora costruita sull’effettaccio “intestinale”, la predominanza dei luoghi all’apparenza sicuri ed ospitali (il centro commerciale, la casa, il bar, lo spogliatoio femminile), lo stile di regia semplice che predilige atmosfere lucide e cromature chiare, travolto da improvvisi e veloci ribaltamenti. Anche il meccanismo della tensione è sempre lo stesso: le improvvise apparizioni di fantasmi nei luoghi più inconsueti, quali il taxi, la stazione, la vasca da bagno (con tanto di citazione hitchcockiana). Nonostante ciò vi sono delle sequenze che fanno davvero paura: l’incontro con l’amica nello spogliatoio del corso per mamme e lo svelamento della reale entità dell’uomo seduto assieme a loro; ancora, la sequenza del parto in ascensore e ,soprattutto, quella alla fermata dell’autobus, circolarmente aperta e chiusa dalla carrellata che ci mostra il condominio al di sopra della pensilina. Ma la vera chicca della pellicola è l’ultima sequenza, che non svelo al lettore, davvero uno dei momenti più “scult” del cinema recente, una scena che sono certo non si dimenticherà (nel bene o nel male…), talmente inverosimile da renderci questi giovani e non particolarmente talentuosi “Pang Brothers” decisamente simpatici.
VOTO: 5½

Mauro Tagliabue