Recensione n.1

Ruanda, 1994. E’ allora, in quelle zone che, nel giro di poco più di solo tre mesi, si consumò uno dei più violenti e vasti massacri della storia del Novecento, un massacro davanti al quale il mondo occidentale chiuse gli occhi decidendo di non vedere ciò che stava accadendo, preferendo fare finta di niente ed abbandonando migliaia di uomini, donne e bambini al loro ormai segnato destino di morte. Quello che successe in Ruanda dall’aprile al luglio del 1994 è qualcosa che affonda le sue radici molto lontano ma che nessuno pensava avrebbe potuto portare a quello che poi
purtroppo si verificò. Tutto trae origine dalla distinzione tra Hutu, la maggioranza della popolazione ruandese, e Tutsi, distinzione che venne introdotta
dai coloni belgi e che si basava su pure caratteristiche fisiche e somatiche. Nonostante questa differenza, hutu e tutsi avevano sempre convissuto pacificamente, fino a quando comincio a crearsi un clima di tensione tra i due gruppi, alimentato dagli hutu, che esplose dopo la morte, sospetta, del presidente ruandese. Fu allora che iniziò il massacro. Quelli che fino al giorno prima erano stati cortesi vicini di casa si trasformarono improvvisamente in vittime da colpire o in carnefici, a seconda del gruppo di appertenenza. Migliaia di tutsi vennero uccisi, massacrati a colpi di macete dalle milizie estremiste Hutu, decisi ad eliminare ogni loro avversario colpendo in particolare i più giovani così da cancellare la generazione successiva.

E’ questa tragica pagina di storia che viene raccontata in “Hotel Rwanda” in cui l’intera vicenda è letta attraverso il punto di vista del protagonista, ispirato ad uomo che è stato realmente coinvolto in quanto accaduto, Paul Rusesabagina. Paul, appartenente al gruppo Hutu, è stato per il suo paese una sorta di moderno Schindler che, sfruttando la sua attività e le sue conoscenze, ha cercato di salvare non solo la vita della moglie, Tutsi, e dei figli ma anche quella di migliaia di persone alle quali diede ospitalità e protezione all’interno dell’albergo di Kigali di cui era direttore sottreandole ad una morte che sembrava inevitabile.
Il valore del film, interpretato da un bravissimo Don Cheadle, accanto al quale troviamo volti noti come Nick Nolte e Joaquin Phoenix, sta nell’essere uno strumento per far conoscere quanto accadde alle tante persone che ancora oggi lo ignorano o ne sanno molto poco e nell’essere un atto di accusa nei confronti di un occidente troppo spesso colpevole di dimenticarsi e disinteressarsi del continente africano.
VOTO:8

Silvia Benassi

Recensione n.2

Hotel Rwanda: quando il cinema si tinge di realtà.
Hotel Rwanda è un film. Non vi stupisca questo esordio ma credo che mettendo a confronto le pellicole odierne difficilmente usciremo da una sala cinematografica con quella sensazione di soddisfazione che solo uno spettatore che ha goduto di un buon film può provare.
La pellicola diretta da Terry George e interpretata da un fantastico e troppo spesso sottovalutato Don Cheadle cerca di ripercorrere l’ascesa verso l’inferno del Rwanda nel 1994, anno in cui si consumò uno dei genocidi dell’era moderna che provocò la morte di un milione di persone a causa dello scontro interetnico tra Huto e Tutsi, un conflitto che vide il mondo occidentale completamento passivo di fronte ad un popolo che chiedeva disperatamente aiuto.
In questa valle di dolore un solo uomo riuscì a salvare 1.200 vite permettendo ai profughi tutsi e ai moderati hutu di poter vivere all’interno dell’hotel belga Mille Collines che egli stesso gestiva. Quest’uomo, Paul Rusesabagina, mise la propria vita e quella della sua famiglia mille volte in pericolo pur di salvare le esistenze di tutte quelle persone che a lui si erano affidate.
“Non è un documentario, perché il cinema può avere un impatto politico più forte, grazie all’identificazione con i personaggi”, sostiene Terry George, già regista di un altro capolavoro cinematografico come “Nel nome del padre” che approfondiva la guerra civile in Irlanda.
Guerra e ancora guerra, per un regista che dosa immagini e sequenze e che consente agli attori di esprimere la loro magnificenza attoriale.
Un film che merita di essere visto, non solo perché è espressione di un alta capacità stilistica, ma soprattutto perché ci consente di riflettere di quanto la guerra, in ogni sua declinazione, porti l’uomo al bordo di un precipizio da cui non si può più tornare indietro.

Valentina Castellani