Recensione n.1

Super-size: ovvero…”perchè gli Americani son così grassi?”. Morgan Spurlock ce lo spiega in un modo assolutamente originale. Si nutrirà per trenta giorni, per tre volte al giorno (colazione, pranzo e cena) da Mc Donald’s; in questo modo dimostrerà che i fast food sono junkie food, ovvero cibo spazzatura e che sono il principale imputato per l’obesità degli americani. E ci riesce. Un film documentario, un lungometraggio, che dimostra che l’alimentazione della maggior parte degli americani è sbagliata: grassi e zuccheri in quantità industriali. Il ritmo è veloce; le interviste sul campo divertenti, nessun artefatto o trucco digitale, è America allo stato puro…questi sono gli USA, che noi ammiriamo e glorifichiamo in centinaia di film; un popolo malnutrito (nel senso di sbagliate abitudini alimentari) che non comprende il danno che i fast food provocano alla collettività sociale. Il regista ingrasserà, si sentirà spossato e assuefatto ai super-size menù di Mc Donald’s e soprattutto rischierà il ricovero a causa della dieta a base di hamburger e coca cola. Divertente vedere alla fine del film quanti chilogrammi di zucchero ha ingurgitato il regista; quanto è salito il colesterolo; quanto il suo fegato è stato danneggiato. In sostanza: volete passare una serata nella più autentica America? Morgan Spurlock ve la mostra meglio di Spike Lee.

Tre_luglio_zerocinque

Recensione n.2

“FAHRENHEIT HAMBURGER”
Michael Moore ha definitivamente sdoganato il documentario imponendolo come “genere” appetibile al mercato. Insieme al voltafaccia della critica (si sa, la spocchia è per sua natura elitaria e non gradisce la condivisione di una platea mondiale), l’avvenimento ha determinato la nascita di un buon numero di epigoni, capaci di cogliere l’attimo e di proporre riflessioni non banali. L’acuto Morgan Spurlock costruisce così un simpatico monumento al proprio ego attraverso la messa in pratica (e in scena) di un geniale, quanto pernicioso, esperimento: nutrirsi per trenta giorni (colazione, pranzo e cena) esclusivamente da McDonalds. Menù “super size” a base di fritti, zuccheri, carne di derivazione ignota e milioni di bollicine. La “grassissima” opportunità è lo spunto per mettere il dito nella piaga dell’alimentazione, soprattutto americana, ovvia causa del nuovo male del millennio: l’obesità. Spurlock ci sa fare e dimostra di conoscere i meccanismi, anche cinematografici, per conquistare la complicità del pubblico. Il giovane cineasta alterna così momenti riusciti (la famiglia che conosce il jingle di McDonalds ma non ricorda l’inno nazionale; i bambini che non distinguono Gesù da Bush ma riconoscono alla perfezione il clown, lugubre simbolo della multinazionale americana) ad altri un po’ più forzati (il subentrato affaticamento del protagonista abbinato a un malessere più sbandierato che evidente), limitando al minimo le cadute di stile (il capello trovato nel cibo). Per fortuna riesce anche a spostare l’attenzione verso la pessima educazione alimentare, cuore del problema. Un disastro che si abbatte nell’indifferenza dei politici, spesso conniventi con i colossi alimentari, e grazie all’unico reale fattore in grado di spostare le masse planetarie: il marketing. Un potere fuori da ogni controllo che aggancia biecamente il cliente fin dall’infanzia, facendo leva proprio sulla volubilità dei criteri selettivi delle giovani generazioni, il più delle volte ago della bilancia nelle decisioni familiari. Ciò che però alla fine risulta meno efficace nell’esposizione di Murlock è, paradossalmente, proprio il perno del documentario, e cioè l’esperimento di partenza. Intanto perché il suo focalizzarsi esclusivamente su McDonalds lascia trasparire un punto di vista minato dall’ideologia (e, diciamolo, assai modaiolo). È come se per spiegare che il fumo fa male ci si fossilizzasse unicamente su una specifica, vendutissima, marca di sigarette o, per mettere in evidenza i danni dell’etilismo, si prendesse di mira il maggior produttore di whisky. Quanto a qualità del cibo, più o meno tutti i fast-food si equivalgono e l’uno per tutti rischia di ridimensionare l’universalità della questione. Inoltre, si deve comunque ricordare che si tratta di industrie e non di opere di bene. Come tali, vendere il prodotto in misura esponenziale è il loro “sporco” lavoro. Il problema reale, oltre a scelte strategiche eticamente non condivisibili, sono i vuoti istituzionali, l’assenza di informazione e, soprattutto, la passività del consumatore finale, quasi fiero della sua ottusità. Ad inquinare ulteriormente la forza del documentario, anche il silenzio nei confronti di una semplice quanto fondamentale regola: qualsiasi mono-alimentazione può essere letale per il fisico. Mangiare solo tortellini (pur se fatti a mano con alimenti naturali di prima scelta), o nutrirsi solo con cioccolata pregiatissima, può avere conseguenze devastanti. Purtroppo i fatti e i numeri dimostrano che una presa di coscienza risolutiva è ancora ben lungi dall’essere anche solo elaborata e che il consumatore pensa di scegliere quando la maggior parte delle volte si limita ad eseguire ordini, non rendendosi conto che con il solo atto di “acquistare” o “non acquistare” può ancora incidere sui bilanci delle multinazionali. E allora, oltre allo scontato consiglio di aprire gli occhi, ben vengano gli spunti offerti da Morgan Spurlock e dal suo tour de force alimentare.
VOTO: 6,5

Luca Baroncini de Gli Spietati