Dopo il meraviglioso Shaolin Soccer (gia’ martoriato nella versione occidentale e ancor piu’ deturpato in Italia con il vergognoso doppiaggio), torna di nuovo sugli schermi l’eclettico attore/regista Stephen Chow, con decine di film al suo attivo, ma “scoperto” dal pubblico occidentale solo di recente, grazie appunto alla pellicola di cui sopra. Dopo aver demolito i record d’incasso in patria, il film (il titolo originale e’ Gong Fu) sta finalmente per essere distribuito in mezzo mondo. La storia in due righe: ambientato presumibilmente a meta’ del 1900, la gang dell’ascia e’ una banda che semina panico e terrore ovunque vada, ma non riesce a sottomettere al proprio volere un piccolo borghetto di gente povera, che cela nel proprio interno, dei veri e propri maestri delle arti
marziali. Non e’ una pariodia in senso stretto dei soliti film di kung fu, ma piuttosto un tentativo di mischiare le carte e creare un ibrido di generi, divertente e curioso allo stesso tempo.
Violenza sempre in chiave comica, spesso addirittura “cartonosa”, impreziosita da ottime coreografie e pregevoli effetti speciali, citazioni a piene mani (e anche qualche autocitazione), ottimo uso di telecamera, splendida colonna sonora, meravigliosa fotografia, stupefacente uso della scenografia. Chow dimostra di essere piu’ bravo come regista che come attore (colpa forse di un personaggio a cui manca decisamente spazio e carisma!), portando a livelli magistrali surrealismo e nonsense nella maniera piu’ disinvolta che si possa immaginare. Ma dietro a tutto questo grasso che cola, ci sono anche delle pecche: innanzitutto, la voglia di strafare portata all’eccesso crea prima o poi sempre qualche disagio nello spettatore. L’uso della CG in alcuni casi e’ davvero fastidioso, sembra quasi che Chow abbia voluto di ostentare (o semplicemente usare) a tutti i costi il corposo budget che aveva a disposizione.
La storia poi e’ praticamente inesistente, se non si considera il pretesto per collegare fra loro i vari duelli che si intervallano nel film.
Personalmente, e’ un grosso peccato, perche’ il film non permette allo spettatore di entusiasmarsi cosi’ facilmente come invece poteva succedere in Shaolin Soccer: le gesta dei giocatori e della loro via crucis riusciva a insinuare un misto di tenerezza e compassione che per forza di cose ci si trovava alla fine a fare il tifo per loro. Qui difficilmente ci si entusiasma per un qualsivoglia personaggio, perche’ a modo loro sono tutti dei comprimari, e nessuno riesce ad avere una fruibilita’ all’interno del film a 180 gradi. Va detto ad ogni modo che bisogna premiare l’umilta’ di Chow nel lasciare campo libero a cosi’ tanti attori, rimanendo educatamente da parte per non incorrere nella facile trappola dell’autocelebrazione. La consueta morale di fondo, quella che caratterizza la poeticita’ della pellicola e del regista e’ che i veri eroi sono sempre quelli piu’ umili e alla fine avranno il loro riscatto. Per concludere, una nota sul doppiaggio italiano, che se non altro, stavolta ha il pregio di non risultare cosi’ irritante (anche se il confine e’ MOLTO sottile!) e, cosa ben piu’ importante, di non aver stravolto i dialoghi, come invece era avvenuto in Shaolin Soccer.
Voto: 7+ (in parte penalizzato dal doppiaggio)

The Wolf