Un marito e una moglie si danno appuntamento nel pomeriggio per andare a prendere i figli alla colonia estiva e partire per le vacanze. Sembra una coppia qualunque. Sono una coppia qualunque. Non giovanissimi, un po’ stanchi del reticolato di routine in cui si sono trincerati, con una perfetta conoscenza reciproca che, a seconda dell’umore e del livello delle frustrazioni, garantisce l’intesa o procura il tormento. Nella prima parte del film di Cedric Kahn non succede quasi nulla, ma il regista riesce ad imprimere ai gesti ruvidi dei due protagonisti in crisi una tensione crescente. Il viaggio in macchina supera presto i confini dell’ordinario per diventare un’indagine nel buco nero dei sentimenti. L’entrata in scena di un terzo personaggio permette al racconto di fluire, ma, complice qualche coincidenza di troppo e la perfetta geometria delle sue azioni, rischia di eleggersi a facile fantasma dell’incomunicabilita’ di coppia. Per fortuna la regia di Kahn non cede mai il passo agli intellettualismi e mantiene vivo l’interesse verso i personaggi e il loro destino, anime inquiete ma terrene. Se il film non deborda nell’indottrinamento il merito e’ anche della calibrata sceneggiatura, sempre in grado di spiazzare e appassionante anche quando sceglie il dettaglio anziche’ la sintesi (la lunga sequenza di telefonate fatte dal marito per avere notizie della moglie). Il finale potrebbe apparire consolatorio, ma a ben vedere e’ all’insegna del pessimismo. La ritrovata armonia ha infatti il sapore del rifugio nella quiete dopo la tempesta. Dopo aver visto quanto puo’ essere brutto il mondo, la’ fuori, il tepore del nido offre protezione e calore. Le reciproche debolezze e incomprensioni, con il repentino cambiamento del punto di vista a cui sono stati obbligati i protagonisti, paiono quanto di piu’ rassicurante si possa desiderare. Ma fino a quando il tedio e la rabbia non squarceranno il velo ipocrita di una saggia razionalita’?
Luca Baroncini (da www.spietati.it)