Titolo: I colori dell’anima
titolo originale: Modigliani
regia: Mick Davis
cast: Andy Garcia, Elsa Zylberstein, Omid Djalili, Hippolyte Girardot, Udo Kier, Eva Herzigova
genere: drammatico
anno: 2004 distribuzione: Istituto Luce
sito: www.modiglianithemovie.com

“Volevo dare una visione diversa del mondo dell’artista in questo film. Ho sempre creduto che la Parigi del 1919 e La Rotonde con Modigliani, Picasso, Cocteau, Jacob, Soutine, Utrillo, Stein e Apollinaire, rappresentassero il rock and roll dell’epoca”. Con queste parole lo scozzese Mick Davis alla sua seconda esperienza come regista, commenta il suo nuovo film “I colori dell’anima”, sulla vita del pittore Amedeo Modigliani.
L’arte, però, non ne è la protagonista. Sono i sentimenti forti a guidare la storia sul piano narrativo: l’amore estremo e assoluto della musa e compagna di Modì, Jeanne Hebuterne (Elsa Zylberstein) e l’invidia accesa tra Modigliani (Andy Garcia) e Picasso (Omid Djalili).
Si può tranquillamente dire che tutto il film ruota attorno ai due rapporti, Jeanne-Modì e Picasso-
Modì. Non sarebbe grave se accanto a questi due soggetti narrativi, ci fosse spazio anche per la pittura. Ma la pellicola mostra un Modigliani più impegnato a fare l’egoista e il burlone, bere alcool, e parlare con il suo alter ego bambino (la sua coscienza), piuttosto che intento a sporcare la tela per dipingere i suoi quadri.
Si ha l’impressione che il regista abbia voluto accentuare i toni (esasperandoli) di una biografia tutt’altro che tranquilla; in altre parole, come lui stesso ammette, ha voluto rappresentare il mondo dell’artista, ma se pensa di averne dato una visione diversa, si sbaglia. Le tematiche dell’artista alcolizzato, lunatico e egoista non sono certo delle novità, e ancor meno l’amore per una donna, musa e compagnia di vita. Semplicemente è stato rappresentato il classico mondo dell’artista, incastrato nei più classici stereotipi. Questo ha sicuramente penalizzato la recitazione di Andy Garcia, legato ad una sceneggiatura tutt’altro che originale, anche se la sua interpretazione è più che apprezzabile. Bravissima invece Elsa Zylberstein, che aiutata dalla somiglianza con la vera Jeanne, veste i panni della musa innamorata in modo impeccabile.
Omid Djalili brilla veramente poco, riducendo Picasso ad un omone ben piazzato che alterna beccate con Modì a sgridate alla moglie Olga (Eva Herzigova): visione tutt’altro che romantica del grande pittore.
Ambientato a Parigi ma girato in Romania, il film presenta invece una lodevole scenografia: lo scenografo italiano Giantito Burchiellaro ricostruisce una Parigi del primo dopoguerra in maniera convincente; anche la fotografia di Emmanuel Kadosh è affascinante, d’altronde, un film che parla di pittura non può prescindere da una buona fotografia: alcune inquadrature sembrano quadri, come l’inquadratura di Modì con il suo capolavoro a lavoro finito, o la posa statica di Jeanne al momento del ritratto finale.
Si respira arte solo nella parte finale, al momento della gara, una competizione artistica che permette di vincere una discreta somma di denaro. Vi partecipano tutti i pittori frequentanti il caffè Rotonde, e neanche a dirlo, si iscrivono anche i due rivali a segno di sfida.
Il montaggio concitato che alterna il lavoro di ogni pittore è molto emozionante, l’Ave Maria quasi blasfema in chiave etnica come canzone di commento appare originale e dona al momento del parto di opere che diventeranno capolavori un tocco di maggiore poeticità.
Ultima nota: il momento dei passi di danza per le vie notturne di Parigi di Modì e Jeanne sull’onda de “La vie en rose” risulta anacronistico, Edith Piaf allora aveva solo quattro anni.
In definitiva, considerata la carenza narrativa del prodotto filmico e qualche sbavatura, resta da tenere (per cui valga la pena di andare a vederlo) l’aspetto tecnico e la buona recitazione degli attori.

Marta Fresolone