Regia: Gregg Araki
Sceneggiatura: Gregg Araki Fotografia: Steve Gainer
Musiche: Harold Budd ,Robin Guthrie Montaggio: Gregg Araki
Anno: 2004 Nazione: Stati Uniti d’America
Distribuzione: Metacinema Durata: 99′
Data uscita in Italia: 03 giugno 2005 Genere: drammatico
Wendy Michelle Trachtenberg
Neil McCormick Joseph Gordon-Levitt
Mrs. McCormick Elisabeth Shue
Mary Lynn Rajskub Mary Lynn Rajskub
Brian Lackey Brady Corbet
Recensione n.1
E’ inquietante e “misterioso” il fatto che un buon film come Mysterious Skin, che unanimemente è stato considerato ottimamente da pubblico e critica in tutto il mondo, sia così mal distribuito in Italia (per esempio, due piccole sale a Roma!).
Probabilmente il motivo è la crudezza, mai fine a se stessa, di qualche scena omosex, ma il film aveva già comunque l’esaustivo divieto ai minori di 14 anni, e comunque non vi è davvero nessun aspetto di questo film che possa definirsi morboso o offensivo di qualche credo religioso, e ciò è palesemente evidente.
Il tema invece è proprio quello degli abusi sessuali in tenerissima età e le conseguenze che portano in due ragazzi dalla personalità e la sessualità differenti: Neil brillante nello sport, spregiudicato, omosessuale e apparentemente cinico e crudele, mentre Brian è timido, studioso, freddo nei confronti del sesso e appassionato di ufologia, crede infatti di essere stato rapito e non ricorda alcune cose che gli capitarono da bambino….
E’ curioso e relativamente discutibile il fatto che il regista tenda a ricondurre l’idea di esperienze con presunti extraterrestri a traumi “terrestri” avuti in giovanissima età. Ciò è plausibile e credibile in taluni casi e nell’ambito della drammaturgia del film, ma ovviamente non si può dire che la credenza o meno negli ufo sia riconducibile o meno a una devianza o rimozione personale. Anche Eveline, l’amica occasionale di Brian viene quasi ricondotta a questa tesi. Nel film tuttavia gli incastri delle personalità, le loro scoperte e le loro esperienze sono ben raccontate e credibili…eccezion fatta per la rappresentazione di un certo eccessivo ardore omosessuale del Kansas e degli Stati Uniti in generale, dove in taluni passaggi si ha quasi la sensazione che non ci sia uomo che non debba desiderare un rapporto omosessuale con l’irresistibile Neal!
Il film riesce molto bene nell’intento di farci conoscere con delicatezza queste storie incrociate della provincia americana. L’abuso e il relativo vuoto labirintico che genera dentro sé è visivamente ben espresso e collegato alle varie figure del film con accenti di durezza, dolcezza e poesia encomiabili. Non era un argomento facile ed Araki è riuscito a farcelo conoscere con coraggio e con la cura di una descrizione di una realtà che non sta nelle aule dei tribunali, in genitori coscienziosi, in assistenti sociali responsabili e di buon cuore, ma nei rituali e nei ritmi della provincia a stelle e strisce, ed anche nelle scelte individuali del percorso dei protagonisti, dove si respira l’aria delle scuole, dei quartieri e degli appartamenti, e attraverso i quali anche noi tutti possiamo trovare degli accenti di convergenza, essendo i personaggi dei ragazzi che assomigliano per gusti e modi a quelli dei loro coetanei del mondo occidentale, anche se qui ovviamente il taglio della cultura americana, com’è ovvio che sia, è marcato, peraltro coerente in tutto e per tutto ai temi affrontati e fedele ad un arco temporale che va dalla fine degli anni 70 agli anni 90.
La coerenza del look, dei rimandi iconografici e musicali creerà un certo senso di complicità e nostalgia con i trentenni di oggi. In realtà in tanto vituperati anni ottanta oggi sono giustamente rivalutati e considerati in una dimensione di complessità e ricchezza di sfumature che meriterebbero, nel bene e nel male, di essere narrati con maggiore ricchezza ed incisività.
Il film ci dispone ad una viva curiosità emotiva: è come un cerchio o un imbuto che si stringe fino al suo epilogo finale.
Ci viene da pensare come mai film del genere non ci deprimono. La realtà è che più che descrivere il vuoto dei personaggi ci mettono in evidenza la lotta interiore/esteriore dei protagonisti e la percezione di un retrogusto e di ricchezze sconosciute negli stessi, mentre in alcuni altri film noi percepiamo solo la “cronaca del vuoto interiore”. Funzionalmente alla riuscita di “Misterious Skin” conta anche il fatto che le americhe (anche l’america latina, la cui cinematografia è in crescita) propongono una cultura trasversale e universale delle loro realtà che ormai sono di casa in ogni luogo.
Il doppio binario rappresentato da due ragazzi, fatto di caratteri diversi ed esperienze diverse si incrocerà in modo dolce e amaro, poetico e cinico, con durezza e tenerezza, proprio come la vita.
Per quanto diversi, ognuno potrà riconoscere un pezzo di sé o dei propri ricordi nei volti e nei caratteri a cui danno anima gli interpreti del film, e questa è una vera impresa considerando la trama e gli argomenti che possono essere distanti, ma anche così vicini. Si, il film in questione è certamente un ossimoro molto riuscito. Buona visione!
Gino Pitaro newfilm@interfree.it
Recensione n.2
Un manifesto bluastro, un’invito al parallelo e al paranormale. Complice una serata con intenso attacco di “coimbrite”, ovvero desiderio di ritrovarsi sola in sala e di sciogliersi nella pasta acquosa delle immagini. Morse allo stomaco e violenza si affiancano ai fotogrammi subitanei, all’oasi di intoccabilità che sfiora e abbandona. Tutto il resto è violenza, violenza che il binario parallelo amplifica.
Siamo nel Kansas, e lo stratagemma delle voci fuori campo ci introduce all’esistenza parallela di Neil e Brian. Il primo precoce, bruno ed esotico, conturbante e turbato da una bizzarra forma d’amore. E’ attratto dagli uomini fin da piccolo, ma solo il coach, caricatura d’uomo, riesce a farlo felice cospargendo il suo viso intatto di cereali. Qeulli del manifesto. L’altro fragile, assente, fantasioso. Il primo insegue le sensazioni facili, sensazioni riverse sullo schermo con la loro componente sadico-orrorifica senza ipocrisie, con il lieve e semplice pudore di una macchina che tende a inquadrare dall’altro, a sopraffarre.
Brian invece cresce imbottito di fantasia e di assenza, emulando senza saperlo il vuoto mentale dell’altro con un vuoto sensitivo. La voglia di scoprire cosa ci sia dietro dei sogni verminosi, gelatinosi, cosparsi di una luce azzurra e cattiva, lo spinge a inoltrarsi sempre più nella ricerca del diverso intangibile. Ovvero, nel mondo “altro”. Si convince di essere stato rapito dagli alieni ma ricorda Neil.
Dopo 10 anni lo riincontra, e insieme scoprono la verità.
Mysterious Skin ha fatto tremare l’americano medio, nonostante la trama banale. Colpisce la grazia che trapela con forza dalla violenza, l’insistenza sul vuoto e sulle sensazioni tattili, sulla faccia cancellata e occhialuta di Brian. Gli interni alludono a un esistenza orizzontale da sopraffatti e sopraffattori, con i corpi sempre penetrabili e per questo sostanzialmente estranei. Parrà forse facile, ma assolutamente commovente, lo straniamento associato all’elettronica jazzata e melanconica delle musiche. La cattiveria di una pelle misteriosa, piagata da amori snaturati, di un corpo sovraesposto e un viso riempito di colori fittizi, tanto quanto quello di un bambino rapito dagli alieni. Il viso del manifesto, ovvero un germe intagliato nella luce di poesia che sottende orrore e sotterfugio, come accadeva nella provincia di America Beauty, a tratti svelata nell’insistenza sanguigna dei suoi colori.
Umori e sangue della narrazione si fermano nel bluastro dell’ufo che sorvola il cielo, e si condensano nell’unicità delle cose e della storia personale rivoltata, rivoltante, manomessa e reinterpretata da chi è costretto a viverla. voto:7,5
Chiara F.
Recensione n.3
Ci sono molti modi per trattare un tema delicato come la pedofilia. L’argomento e’ quanto mai attuale e scottante e ha ispirato qualche film di denuncia (anche l’italiano “Territori d’ombra”) ma soprattutto fior di thriller, diventando un movente perfetto per la furia vendicativa del maniaco di turno. Gregg Araki, definito un regista pop con lo stile acido, (“Doom generation”, “Ecstasy generation”) sceglie ancora una volta un taglio forte e personale. Il suo talento visionario alterna voli surreali a virate oniriche ma e’ molto ancorato alla realta’ e alla verita’ dei dettagli, curati con morbosa precisione. Il suo e’ un cinema vitale e sanguigno, schietto e diretto, senza falsi pudori, fatto di pugni nello stomaco, stoccate al buon gusto e sfida ai tabu’, ma capace anche di improvvisi slanci poetici. Nel mettere in scena un trauma con conseguenze devastanti come l’abuso sessuale, in grado di condizionare una vita rubando possibili alternative, dimostra che con sensibilita’ e ironia si puo’ affrontare qualsiasi argomento. Alcuni eccessi possono risultare gratuiti, e probabilmente lo sono, ma questo e’ il mondo in cui Araki ha deciso di far muovere i suoi personaggi (la derivazione e’ l’omonimo romanzo di Scott Helm) e non cerca filtri accomodanti per rendere digeribile cio’ che non lo e’. Bravissim i protagonisti, sia i bambini che i ragazzi. In una piccola parte anche Elisabeth Shue, che conferma di prediligere percorsi alternativi alla strada in discesa, ma risaputa, dei blockbuster.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)