Sedici anni fa Akira dimostrò all’occidente che la fantascienza animata giapponese non era più fatta di robot giganti, che Blade Runner aveva un erede naturale che da noi non aveva mai trovato, che era possibile coniugare un talento visionario e a tratti violentissimo con un mezzo considerato tradizionalmente per bambini come l’animazione. Akira fu per molti una rivelazione. Lontano dall’asfittica produzione Disney c’era vita laggiù.
Eppure il creatore di Akira scomparve. Anche nel campo dei manga il suo nome non apparve che sporadicamente e solo in veste di sceneggiatore della serie Legend of Mother Sarah (ma la sua mano si sente tantissimo e la serie è un gioiello di narrativa a fumetti). Al cinema uscì, ma non in Italia, Memories un film ad episodi da lui supervisionato di cui solo un episodio era però realizzato da Otomo. Poi venne Metropolis, proiettato a Locarno in piazza grande, diretto da Rintaro, da un manga di Tezuka e sceneggiato appunto da Otomo. E si vedeva eccome, con quel finale catastrofico eppure dolcissimo, con quella voce che ci dava l’idea di una trascendenza più che di una morte, come già era stato per Testuo in Akira.
Finalmente, sedici anni dopo Akira, ecco il nuovo film di Otomo, giustamente tributato dell’onore di chiudere il festival di Venezia. Il film racconta le avventure del giovane Ray Steam, cui il nonno affida una pericolosa sfera capace di produrre incredibili quantità di energia che ovviamente sono in molti a volere, tra cui qualcuno a cui Ray è molto affezionato. Il regista ci tiene a precisare che siamo lontani dalle atmofere di Neo-Tokio, qui non c’è l’inquietudine profonda del suo capolavoro, piuttosto c’è una reazione. O forse, a ben vedere, solo l’altra faccia della stessa medaglia.
Akira dipingeva un futuro disperato con giovani iper-violenti e drogatissimi alla Arancia meccanica, con sette fanatiche tra terrorismo e religione, il tutto immerso in una cappa di intrigo politico e militare. Steam Boy, per ritrovare speranza nel futuro si getta nel passato in piena rivoluzione industriale, quando nuove invenzioni meravigliavano il mondo di anno in anno e si poteva, anzi si credeva che il mondo stesse cambiando in meglio. Sognare un futuro migliore è per Otomo inevitabile nel nostro passato e impossibile nel nostro futuro. Si passa dal cyberpunk allo steampunk ma anche se l’angolazione è diversa l’idea sottoggiacente del presente non deve essere molto cambiata: le riflessioni sulla guerra e la generale sfiducia nel potere militare, politico o economico che sia, sono attualissime.
Steam Boysi pone come una sorta di blockbuster d’animazione, una produzione sfavillante dall’altissimo livello tecnico e dalla storia accattivante e movimentata, pur se per tutte le età. Ciò nonostante i personaggi non sono bidimensionali, i cattivi rivelano intenti anche nobili e i buoni sono decisamente pronti al tradimento, convinti di agire per un fine migliore. La ricca ragazzina poi è insopportabile e saccente, e anche se alla fine agisce con i “buoni” lo fa per lo più seguendo i suoi desideri come sempre, che non perchè ha capito che i soldi della sua famiglia sono sporchi. Il protagonista Ray Steam è di certo il personaggio più senza macchia, l’eroe geniale nelle sue invenzioni e deciso a non cedere alla violenza fino a che non è necessario, pronto a perdonare e a rifiutare sempre il potere facile di cui pure disporrebbe.
Quello che però fa la forza di questo film è davvero la realizzazione tecnica. La meravigliosa e interminabile serie di invenzioni visive, di macchine dal design sorprendente, di inseguimenti mozzafiato, di ambientazioni dettagliatissime e ricche di immaginazione. Certo c’è tanto digitale ma non si era mai visto del digitale fondersi in modo così fluido al disegno animato tradizionale. Questo è probabilmente il miracolo più grande di Steam Boy, inoltre il digitale è usato con intelligenza per i macchinari e per le numerose sequenze in cui la camera si muove vorticosamente come una steadycam o un dolly. Nella mobilità della macchina da presa Steam Boy supera ogni predecessore animato. La direzione attenta di Otomo utilizza questi movimenti per dare ritmo ad un pellicola che ha pochi momenti lenti, nonostante la durata di oltre due ore.
Siamo di fronte ad un’avventura, non banale ma certo non geniale, però di grande immaginazione, di continua meraviglia e dal ritmo spesso incalzante.Come per altro, per respiro narrativo, se ne vedono ormai raramente. Certo non è il nuovo Akira e non lo sarà nemmeno l’annunciato sequel (anticipato nei titoli di cosa del film), ma fossero tutti così i blockbuster…
Andrea Fornasiero

Sedici anni fa Otomo stupiva il mondo con un capolavoro insuperato dell’animazione giapponese: Akira. Oggi finalmente torna nelle scene internazionali con Steamboy, il progetto di una vita. Otomo potrebbe essere definito il regista degli eccessi: Nel 1988 Akira era il film più costoso della storia degli Anime, oggi Steamboy supera di gran lunga quel record con i suoi venti milioni di budget. Da fan incallito aspettavo da tempo il suo ritorno, seguendo con interesse l’interessante sviluppo della sua poetica della distruzione/costruzione (vedi il saggio presente nel sito), forse le aspettative erano troppo alte. Steamboy non è un brutto film, tutt’altro, ma conoscendo l’autore il risultato sarebbe potuto essere qualcosa di più, qualcosa di grandioso. Sicuramente ad influire molto è stata la lunghissima gestazione (dieci anni) a causa della mancanza di fondi, nonché la morte di un genere (lo steampunk), distrutto da nefandezze quali La lega degli uomini straordinari (ovvero come uccidere il genio di Alan Moore) e Sky Capitan and the world of tomorrow. Ma anche l’ossessione di curare nei minimi dettagli ogni singolo fotogramma, tanto che Steamboy stilisticamente appare perfetto, senza alcun difetto. Purtroppo tutto questo va a scapito del significato intrinseco del film, comunque in linea con la poetica otomiana. Innanzitutto una lode va nella scelta di affrontare un progetto talmente monumentale con la fermezza di realizzarlo quasi completamente con la classico tecnica del rodovetro e del disegno a mano. Uno smacco a tutti quei prodotti che puntano ad esaltare l’essenza ancora posticcia del 3d (discorso valido anche per Inncocence di Mamoru Oshii, comunque un film stupendo, anzi di più, ma eccessivo nell’utilizzo quasi ingenuo della CG). Ma Otomo nell’inseguire una perfezione stilistica che non gli si può negare, si è dimenticato di ciò che voleva dire, lasciandolo sullo sfondo, superficializzando i personaggi. Ma le linee autoriali ci sono e si fanno sentire: la scienza è ancora un pericolo se sfruttata e forzata (quindi strumentalizzata) in nome della politica e della ragion di stato, esattamente come succedeva in Akira, in cui gli esperimenti del governo finivano per distruggere Neo Tokyo. La politica e la guerra sono demonizzati, mentre vengono esaltati i sentimenti sinceri e la vita. Rispetto ad Akira Otomo fa un passo indietro: nel film dell’88 la scienza sottomessa alla politica sbagliava, causando una distruzione totale che era fortemente simbolica, mentale, punitiva degli errori dell’uomo. Una luce purificatrice inglobava il tutto per gettare l’uomo allo stato brado, per dargli una nuova possibilità, facendolo ricominciare da capo. Sotto questo profilo Akira appare come l’inevitabile conseguenza delle scelte attuate in Steamboy: quella di dar spazio alla scienza ed al progresso, nella speranza che l’uomo non ne abusi. Concettualmente Steamboy si pone come il precursore di Akira. Ma all’interno del film ci sono numerosi riferimenti ad altri lavori otomiani: la costruzione degli Steam che si trasforma momentaneamente in un luna park movente ricorda la sequenza iniziale di Robot carnival; l’ambientazione (bellissima) nella Londra vittoriana rimanda al bellissimo primo episodio di Memories (progetto in te episodi realizzato e coordinato da Otomo, il cui primo segmento è tratto da un racconto breve dello stesso Otomo); la guerra come mezzo di morte e dimostrazione della stupidità umana il terzo episodio di Memories, girato dallo stesso Otomo attraverso un virtuosissimo piano-sequenza.
Steamboy non è Akira, manca della sua spinta geniale, caratterizzata da un senso per la narrazione, per l’ambientazione e l’animazione davvero unico. Ma non si può negare il fascino che traspare dall’arte di Steamboy, il suo spettacolare virtuosismo visivo, immagini uniche e rare. Forse è questo che delude: l’eccessiva attenzione per l’occhio, poca per la mente. Anche se in alcune sequenze Otomo dimostra tutta la sua capacità di autore: alla fine le parole di Ray risuonano nella sala “il prossimo secolo sarà dominato dalla scienza”. Nel frattempo un temporale si avvicina. Il resto è storia: milioni di morti e due guerre mondiali.
VOTO: 7/8
Andrea Fontana

Katsuhiro Otomo, regista del mitico “Akira”, abbandona la Tokyo postatomica e scende nell’Inghilterra dell’epoca vittoriana per realizzare il piu’ costoso anime mai prodotto (ventidue milioni di dollari). Il protagonista e’ un giovane inventore di nome Ray, figlio e nipote di illustri scienziati. L’arrivo per posta di una misteriosa sfera di metallo, che sfrutta l’energia del vapore, sara’ l’inizio di una fantastica avventura. La sceneggiatura ben rappresenta lo smarrimento del giovane protagonista, che cambia piu’ volte punto di vista a seconda dell’adulto manipolatore che incontra. Alla fine riuscira’ pero’ a trovare una propria strada di pensiero, portatrice di valori positivi e finalizzata a un utilizzo della scienza “per rendere felici le persone”. Nonostante l’ambientazione occidentale, il solido racconto imbastito da Otomo ha caratteristiche molto giapponesi: l’atavico conflitto tra padre e figlio (qui addirittura raddoppiato), la commistione uomo-macchina, il pessimismo nei confronti dell’evoluzione e delle scoperte scientifiche e una compiaciuta furia distruttiva. Tecnicamente ineccepibile, il film ha richiesto dieci anni di lavorazione e gli ingenti sforzi produttivi si vedono nel sofisticato risultato. Piu’ degli scontri armati della seconda parte, alla lunga ripetitivi, colpisce la grandiosita’ dell’inseguimento iniziale sul treno in corsa, capace davvero di infondere un senso di meraviglia d’altri tempi in grado di trasportare altrove. Non mancano anche improvvisi slanci poetici: lo stridore dei bombardamenti in mezzo alle luci e ai colori del parco di divertimenti, oppure la inaspettata glaciazione, che, dopo boati ed esplosioni, in un silenzio ovattato si scioglie in neve. Il film e’ quindi una gioia per gli occhi, cerca una resa problematica di concetti universalmente condivisibili (pur enfatizzando la resa spettacolare della guerra) e si configura come una potente avventura per grandi e piccini. Luca Baroncini (da www.spietati.it)