L’infaticabile Claude Chabrol continua il suo percorso di esplorazione delle pulsioni e mette ancora una volta disordine nell’apparente pacatezza che pare regnare nella case di periferia, tutte uguali e silenziose come se racchiudessero, con ordine, sogni e obiettivi sovrapponibili. Il protagonista è Philippe, un giovane che vive con la madre e le sorelle. È una famiglia unita e serena, nonostante l’assenza di una figura paterna e le intemperanze della sorella più piccola. Un giorno, però, Philippe conosce Senta e nasce una passione forte e pericolosa. Lei, infatti, vuole una prova d’amore reciproca e, rifacendosi a un detto popolare, propone di: piantare un albero, scrivere una poesia, uccidere qualcuno e avere un rapporto omosessuale. La coppia si sofferma sull’uccidere, tralasciando (chissà perché) le altre ipotesi. Philippe vive la proposta come un gioco di cattivo gusto ed è talmente innamorato da non farci troppo caso. Senta, invece, fa sul serio. Come sempre inquietante nel modo semplice e felpato con cui inscena il dramma,
Chabrol rimescola le carte del quieto vivere con ironia e spirito provocatorio. Esagera però con i simbolismi (l’onnipresente busto di pietra) e non si preoccupa troppo della raffinatezza dell’impianto visivo e dei dettagli (bruttarelli gli stacchetti di tastiera a mò di modesto thriller). Nonostante l’interesse con cui si segue il percorso dei protagonisti, inoltre, il turbamento è solo di superficie e si fatica a credere alla deriva a cui si abbandona il razionale protagonista (Benoit Magimel, in parte e credibile). Così come il disturbato candore di Senta (Laura Smet, graziosa ma non femme fatale) pare troppo sfacciato per non insinuare qualche dubbio, perlomeno nel pubblico.
Luca Baroncini de gli Spietati