Convivono, sposati, da dieci anni, ma non si amano o, almeno, concepiscono l’amore in maniera differente. Lui la vuole accanto per quieto vivere e si rende conto della profondita’ del loro legame, ma anche dell’esteriorita’, solo quando sta per perderla. Lei sembra esigere passionalita’, ma della Bovary di Flaubert ha solo l’apparenza. Ancora amori contrastati nei salotti francesi, dove a sontuosi ricevimenti in cui le chiacchiere evaporano insieme alle bollicine dei vini piu’ pregiati, si alternano rese dei conti affettive in cui si parla di grandissime passioni a denti stretti, non tradendo la minima emozione. E dove chi sembra gelido e calcolatore, attento a non infrangere le regole della vita in societa’, si rivela inaspettatamente capace di gesti estremi. A parte la ben delineata e raffinata inversione di ruoli, il film di Patrice Chéreau illumina poco sulle dinamiche della coppia protagonista, chiudendo in interni austeri l’ennesima consapevolezza di un amore finito, forse mai nato, comunque non nutrito dalla capacita’ di comunicare. I lunghi monologhi alla base della sceneggiatura hanno piu’ a che fare con il teatro che con il cinema e per ricordare allo spettatore che e’ seduto davanti a uno schermo, Chéreau azzarda didascalie stridenti, una ridondante musica (di Fabio Vacchi) da noir anni ’40 e repentini, quanto criptici, passaggi dal bianco e nero al colore. Bravi gli interpreti, in particolare Isabelle Huppert ancora una volta perfetta nell’incarnare antipatia e freddezza, ma poco accessibile, a causa di unevidente intellettualismo di fondo, il disagio dei personaggi.

Luca Baroncini da www.spietati.it