Regia di George Clooney
Titolo originale: Good night. And, good luck
Nazione: U.S.A.
Anno: 2005 Genere: Drammatico
Durata: 90′ Regia: George Clooney
Sito ufficiale: wippub.warnerbros.com
Sito italiano: www.mediafilm.it/goodnight/
Cast: David Strathairn, Alex Borstein, Robert John Burke, David Christian, Patricia Clarkson, George Clooney, Jeff Daniels Produzione: George Clooney, Grant Heslov, Steven Soderbergh
Distribuzione: Mediafilm
Data di uscita: Venezia 2005
16 Settembre 2005 (cinema)

Recensione n.1

Con la prima regia (“Confessioni di una mente pericolosa”) ha unito il talento della narrazione tutta cerebrale di Charlie Kaufman con lo stile dell’amico Steven Soderbergh. Alla seconda prova dietro la macchina da presa, George Clooney si dimostra ancora una volta molto attento all’aspetto visivo. L’argomento scelto e’ di quelli delicati e spesso dibattuti: le prime battaglie del giornalismo televisivo, agli inizi degli anni Cinquanta, durante l’epoca del maccartismo. La forma e’ molto sofisticata, con un bianco e nero di grande effetto perfettamente in linea con la trovata alla base del film di fare interagire la finzione con la realta’. Il senatore Joseph McCarthy, presidente della “Commissione per le attivita’ antiamericane” e responsabile delle cosiddette “liste nere” contenenti i nomi di simpatizzanti comunisti, e’ infatti interpretato dal vero Joseph McCarthy, attraverso spezzoni di filmati dell’epoca. Il film, girato tutto in interni, e’ giocato prevalentemente sul contrasto tra lui e il giornalista Edward R. Murrow (David Strathairn, giustamente premiato a Venezia per il suo carisma), portatore di un punto di vista coraggioso sul ruolo del cronista, attuale allora come oggi, cioe’ colui che dovrebbe informare il pubblico senza i vincoli di condizionamenti politici ed economici. Tuttavia, il tema forte abbinato alla forma accattivante produce un risultato non del tutto convincente, a causa del tono predicatorio della pellicola. Il problema e’ quello classico dei film a tesi, dove il messaggio finisce per prevaricare il racconto. Cosi’, nella descrizione della sala stampa della CBS, nei dialoghi di lavoro come negli scambi informali tra colleghi, prevale la rappresentazione sulla verita’. A dominare e’ soprattutto l’esteriorita’, sia nei personaggi (a partire dalla posa efficace del protagonista con la sigaretta sempre in mano) che nelle loro dinamiche, con alcuni passaggi particolarmente didascalici (la vittima sacrificale, che per suffragare la tesi non puo’ mancare, e i dialoghi della coppia segretamente sposata). Apparentemente secco e senza fronzoli, il film e’ in realta’ un esercizio di stile con finalita’ educative. Ad inficiarne la forza e’ la scarsa fiducia sulle capacita’ di discernimento del pubblico, che si trova a dover scegliere tra un uomo sgradevole e arrogante e un gruppo di impavidi giornalisti, pronti a collaborare con entusiasmo e motivati da un trasporto disinteressato verso il prossimo. La scelta di escludere totalmente la vita privata del protagonista lo priva di un’umanita’ che avrebbe contribuito a creare un personaggio a tutto tondo in cui poter davvero credere. Invece il “messaggio prima di tutto” pare uno slogan urlato senza il supporto di solide fondamenta, lasciando la sensazione di una seducente pennellata d’epoca, perlopiu’ superficiale.

Luca Baroncini da www.spietati.it

Recensione n.2

Cinema verità. e cinema storico. La ricostruzione, il gusto per le ambientazioni incolori ma calde, per l’effigie del passato impressa con le sue pieghe e la sua oscurità insondabile. Ancora oggi. L’attualità e la fiction estrema convivono nel secondo film diretto da George Clooney. Questi si ispira in parte alla scuola Soderbergh, con i suoi chiaroscuri in interni e le sue meta-rivelazioni che aspirano linfa dal cinema puro. E così mette in scena, con filmati di repertorio indistinguibili dal vero recitato, l’america degli anni ’50, bianca e nera come in Pleasantville ma non viaggiante, anzi immobile, implosa nelle proprie passioni rivissute attraverso quelli che furono i maestri della divulgazione, della mostra e del vero: i giornalisti, duplici e integri, sedotti e indipendenti.
Quel mondo teatralizzato e lontano rivive attraverso gli studios, attraverso i banchi opprimenti e calorosi dell’informazione televisiva, e di quel fumo preponderante che si leva nella luce come un afflato estremo, nel suo essere puro ricordo.
Il giornalista Murrow esprime la sua verità, con una faccia antica e solcata e la recitazione di Strathairn adattata alla clausura emblematica del Network, con le sue trasmissioni brevi e pacate, le sue ingenue incursioni nel gossip che racchiudono in piccola parte quella pulsione riconoscibile allo svelamento, alla chiarificazione di cui lampade e microfoni sono simboli fermi. Dal caso Radulovic, giovane tenente il cui padre “legge giornali serbi”, la pacatezza e l’eleganza esplodono nella denuncia necessaria, condotta con nettezza che oggi, più di ieri, sarebbe impensabile, con nomi esplicitamente incisi nell’orecchio dell’uditore, con prove ed inchieste che sfociano nella pasisone giuridica. Quella nettezza sorprende, sconcerta e teatralizza agli occhi moderni il film, dai tempi discontinui, estremamente parlato, estremamente forte senza accorgersene. Forte di quella tesi, l’affermazione alla libertà contro la caccia alle streghe immotivata, vessatrice e un po’ ottusa, come dimostra lo stesso senatore MacCarthy nel confronto televisivo: non una parola su Radulovic, nessuna sostanziale smentita, solo un’accusa nuova, allo stesso conduttore del network.
Gli occhi moderni convivono con giochi più sottili, ottusità che non si rivelano se non attraverso ghirigori estremamente subdoli e sconfortanti prescrizioni. La scelta di Clooney, nerastra e anti-drammatica, lascia scivolare il finale senza dare la possibilità di porsi altre domande. La stessa morte evapora sulle note dal vivo della jazz-band, sulla voce straordinaria di Dianne Reeves che apparta Murrow- Strathairm nella sua immagine totemica, nel suo pensiero ispiratore e tenuto lontano. Pensiero che neppure la genuinità di intenzioni del film è riuscito ad affrancare.

Chiara F

Recensione n.3

George Clooney non è (o, se preferite, non è più) soltanto uno dei grandi divi hollywoodiani a cui siamo anche troppo abituati. Se molte (ma non tutte) le sue scelte da attore rispondono alle esigenze del suo divismo, ciò che sta costruendo come regista è un percorso estremamente personale ed autoriale. Già la sua precedente regia, Confessioni di una mente pericolosa, prendeva spunto da un fatto reale e lanciava uno sguardo sul mondo della tv, e già quel film (benché, rispetto a quest’ultimo, un po’ più appetibile per un pubblico eterogeneo), dimostrava un’attenzione al mezzo cinematografico e all’originalità della narrazione che appartiene a pochissimi film commerciali.
Good night, and good luck è una lezione di liberalismo ed è una dimostrazione di come la tv sapeva essere (è un fatto accaduto negli anni ’50 durante il maccartismo) un mezzo di informazione vero. Di scena è Ed Morrow, giornalista tv, che ingaggia una battaglia televisiva contro il senatore McCarthy e il suo tentativo di togliere la libertà di opinione e parola agli americani.
Il film di Clooney è però anche una riflessione piuttosto amara sul mezzo televisivo stesso. Infatti, benché la battaglia del giornalista sia stata un successo, il film si aprendo e sichiudendo nel 1958 (5 anni dopo i fatti narrati), mostrandoci di nuovo Murrow, non meno dolente e disincantato di cinque anni prima, intento a fare un’amara riflessione sulla tv, divenuta sempre più un oggetto per chi deve fare business o per distrarre.
È dunque cinema d’impegno storico-civile questo di Clooney, non è però, come talvolta succede con questo genere di film, un’opera d’impianto televisivo. L’azione, per lo più ambientata nel chiuso degli studi televisivi, ha un ritmo chiuso e claustrofobico, le riprese sono scandite quasi solo da inquadrature estremamente ravvicinate, ma anche in questo caso non c’è nulla che faccia pensare a schemi televisivi di ripresa. Lo studio televisivo, grazie a questo stile, assume la valenza di un bunker da cui si sta combattendo senza poter avvicinarsi agli spazi aperti di un vero campo di battaglia. A tutto questo Clooney aggiunge i piani sequenza, gli zoom e il bianco e nero: ormai, quanto di più antitelevisivo vi sia.
Eccellente tutto il cast. Spicca naturalmente la recitazione dolente, trattenuta e preoccupata di David Strathaim nei panni di Murrow, ma di alto livello sono anche tutti i comprimari, come lo stesso Clooney, un ritrovato Robert Downey Jr., Frank Langella, Jeff Daniels, ecc…
Good night, and good luck parla della tv americana degli anni ’50 e di quel periodo storico, ma pensa senz’altro al presente. Non perché gli USA stiano correndo realmente pericoli come quelli a cuis’accenna nel film, ma perché è nell’aria il tentativo di piccole manipolazione un po’ in tutti i paesi di spicco del mondo. E anche l’Italia, per chi ha occhi e orecchie ben aperti, e non si fa abbindolare dalle politiche di destra e/o sinistra, il film di Clooney è un’opera preziosa. Se non altro per ricordarci, come dice Murrow, che la tv deve anche saper «Istruire e illuminare, altrimenti sono solo fili e luci in una scatola».

Sergio Gatti