Un libro di culto, gag a non finire, effetti speciali a profusione, un gruppo di docili attori, idee bislacche, trovate geniali, una costante ironia, un’originale e caustica riflessione sul senso della vita, un ritmo serratissimo e, soprattutto, una narrazione all’insegna della follia. Eppure la trasposizione per immagini del famoso romanzo di Douglas N. Adams ha un difetto non da poco: non funziona. Manca una visione d’insieme in grado equilibrare il taglio grottesco del racconto con la grammatica del cinema. In particolare, la regia di Garth Jennings (provenienza videoclip e pubblicita’) si occupa con professionalita’ dell’aspetto visivo, curando la fluidita’ degli inserti digitali, ma sbaglia clamorosamente i tempi comici. Il ritmo e’ indiavolato, ma le tantissime gag arrivano quasi sempre, o troppo tardi, o con troppo anticipo. Spesso non arrivano affatto. Al riguardo, si sprecano i momenti di puro imbarazzo, come nei siparietti sovraeccitati del primo incontro del gruppo sull’astronave, che da situazione esilarante scade a guazzabuglio stordente. Un senso di non appartenenza inizia quindi, fin dai primi fotogrammi, ad aprirsi un varco nello spettatore, che rischia l’impassibilita’, rasenta l’irritazione, ma proprio non ce la fa a cedere al baraccone che gli si profila davanti. Come al solito e’ della sceneggiatura buona parte dei demeriti, con personaggi con cui non si simpatizza mai: troppo caricaturali per coinvolgere, troppo bidimensionali per interessare, troppo pacchiani per trasportare altrove. Alcune trovate simpatiche, poi, (il robot depresso) vengono sfruttate allo sfinimento. Qualcuno dira’ estroso, fuori dai canoni, creativo, ardito, singolare, anche coraggioso. Forse e’ vero, ma l’originalita’ non sempre paga e la fedelta’ a un universo letterario non e’ garanzia della buona riuscita di un film. E “Guida galattica per autostoppisti” ne e’ la sghemba conferma.
Luca Baroncini da www.spietati.it