L’aereo su cui viaggia un gruppo di operai in ritorno da un pozzo petrolifero del deserto del Gobi precipita in mezzo ad una tempesta di sabbia. Gli uomini capitanati dal pilota Towns dovranno cercare di costruire un nuovo aereo con i pezzi di quello vecchio prima che la loro riserva d’acqua finisca.

L’involuzione del prodotto medio hollywoodiano

Il film ha un impianto visivo di tutto rispetto: una fotografia perfetta, buoni effetti speciali digitali, ottimo cast. Nonostante questo il film di Moore è il tipico esempio di come la logica seriale della produzione hollywoodiana possa impoverire un genere per eccessivo sfruttamento dei suoi codici genetici. Moore tenta di puntare tutto sulla confezione e sul buon cast che ha a disposizione (Dennis Quaid, Giovanni Ribisi) ma sotto la superficie patinata si scorge una pochezza di idee desolante.
La storia riprende il celebre e omonimo film di Aldrich del ’65. Il capitano Towns (Dennis Quaid) deve riportare a Pechino con il suo aereo gli operai di un pozzo petrolifero sperduto in mezzo al deserto del Gobi. Ai ragazzi della compagnia petrolifera si unisce all’ultimo momento un giramondo di poche parole (un biondo Giovanni Ribisi) che a quanto pare sa tutto di aeroplani. Sulla via del ritorno l’aereo finisce in una tempesta di sabbia e precipita in mezzo al deserto. Gli uomini sopravvissuti dovranno unire le forze per scampare al caldo, all’attacco dei predoni e cercare di ricostruire un nuovo aereo dai pezzi di quello vecchio ormai inutilizzabile. Bisogna subito dire che la storia nonostante il celebre precedente è il punto dolente della pellicola. Il racconto è troppo lineare e prevedibile, inoltre la bella fotografia e le inquadrature suggestive non riescono a trasmettere a dovere il senso di angoscia e la difficoltà di un’impresa tanto disperata. Moore può contare su attori di prima qualità (tra gli altri c’è anche Miranda Otto la principessa guerriera de “Il ritorno del re”) ma la sceneggiatura li appiattisce su personaggi pieni di luoghi comuni e privi di sfumature. In una storia incentrata sulle psicologie e lo scontro di caratteri questa mancanza finisce per rendere il racconto un po’ troppo insipido. Intendiamoci la sceneggiatura è ricca di svolte e trovate in cui far agire i personaggi (il segreto che racchiude il personaggio di Ribisi, la minaccia dei predoni), ma è troppo superficiale per trasformare gli spunti in episodi significativi, e rischia di trasformare la pellicola in una serie di spot magnificamente illustrati delle varie tappe narrative che, come da programma, porteranno i personaggi a concretizzare i loro sogni di fuga.
Dal punto di vista tecnico, il film di Moore può contare su una regia robusta (ricca anche di spunti visionari come nei flashforward), e sulla computer grafica che svolge discretamente il suo dovere (la tempesta di sabbia, il volo finale). Tuttavia lo sfoggio di una buona tecnica è limitato oltre che da una sceneggiatura priva di impennate, anche dal montaggio che rende la visione didascalica e conferisce all’andamento del film un ritmo troppo blando. In definitiva Moore confeziona un film senz’anima, spreca un buon cast e non riesce a tenere desta l’attenzione dello spettatore se non con la perfezione dei controluce e il taglio delle inquadrature. La qualità delle maestranze all’opera nel film non si discute, ma senza una meta e una direzione sicura, tutto questo sfoggio di dolly, controluce e digitale finisce per far girare a vuoto il prodotto e rischia di far precipitare il cinema hollywoodiano in una fase involutoria, da cui è sempre difficile prendere il volo.

Massimiliano Troni (vedi http://xoomer.virgilio.it/profondocinema/)

SCHEDA VALUTATIVA

regia : *

fotografia : **

sceneggiatura : °

scene : **

interpretazione : *

totale : * (5)