Se la vita offre poco calore e la quotidianita’ e’ piu’ che altro una lunga sequela di insoddisfazioni, puo’ capitare di trovare conforto nell’affetto incondizionato e muto degli animali. Per Willard, protagonista dell’omonimo film di Glen Morgan, il sollievo da una madre asfissiante e dalle angherie del capoufficio e’ l’inconsueta amicizia con un topolino. Il problema e’ che la cantina della lugubre casa in cui vive e’ popolata da un esercito di roditori che non sara’ cosi’ semplice tenere a bada. Pur ambientato nella contemporaneita’, il film sembra provenire dagli incubi senza tempo di Tim Burton e rievoca atmosfere gotiche a meta’ strada tra il thriller e la commedia nera. L’aspetto piu’ convincente e’ l’interpretazione di Crispin Glover, al suo primo ruolo da protagonista, che riesce ad esprimere, senza strafare e con perfetta e quasi virtuosistica adesione, il disagio, la frustrazione e la follia del suo personaggio. La sceneggiatura ha il pregio di soffermarsi sull’evoluzione psicologica di Willard e rende plausibile il suo legame morboso con il topolino Socrate, cosi’ come si finisce per credere alla rivalita’ con l’enorme Ben e all’inevitabile degenerazione. Quello che appare meno persuasivo, sia in fase di scrittura che nella messa in scena di Morgan, e’ cio’ che ruota intorno al protagonista, dalla collega d’ufficio inspiegabilmente affettuosa (la sempre sensuale Laura Harring, un po’ troppo assente dagli schermi dopo i fasti di “Mulholland Drive”), agli eccessi caricaturali del capo (R. Lee Ermey, che continua ad urlare come in “Full Metal Jacket”). Cosi’ come e’ debole il tentativo di sostanziare il cambiamento di prospettive che porta Willard a volersi di colpo liberare dei roditori, sua unica consolazione fino a pochi minuti prima. Ma cio’ che piu’ inficia la resa emotiva e spettacolare del film e’ l’indecisione sul taglio da dare alla pellicola. Da un lato e’ apprezzabile non fossilizzarsi in un genere e cercare una personale contaminazione, ma il fatto e’ che il film resta sospeso in un limbo, non disprezzabile, ma piu’ curioso che davvero appassionante: non fa paura e/o diverte come potrebbe. La computer grafica moltiplica i roditori, infilandoli a centinaia in ogni inquadratura, ma l’asetticita’ dei calcoli matematici da cui derivano soddisfa solo l’occhio. Il risultato ricorda infatti la morbidezza di “Stuart Little” senza mai suscitare l’atteso ribrezzo. Il film e’ un rifacimento di “Willard e i topi” di Daniel Mann del 1971. Il protagonista di allora, Bruce Davison, appare in un ritratto come padre di Willard e la scena, divertente ma gratuita, del gatto divorato dai topi, e’ accompagnata dalla canzone “Ben” di Michael Jackson, composta nel 1972 per l’omonimo film, séguito ufficiale di “Willard e i topi”.
Luca Baroncini da www.spietati.it