Recensione n.1
Il titolo potrebbe essere Sti bravi pupattoli. Didascalia: Quei bravi ragazzi all’amatriciana. Placido, infatti, alla sua ottava regia, punta in alto, cesellando la sua versione cinematografica del romanzo di De Cataldo come un torrenziale e spropositato affresco simil-scorsesiano sulle vicende della banda della Magliana, nel contesto storico di un’Italia turbata da giochi di potere, oscure stanze dei bottoni e pericolosi e intricatissimi giochi eversivi e controrivoluzionari. La sceneggiatura del duo Rulli-Petraglia, cui ha collaborato lo stesso autore del romanzo, intreccia tra loro, con buona scrittura, le storie personali da emarginati bigger than life di un gruppo di borgatari che, con lungimiranza e coraggio superiori alle altre organizzazioni criminali, sognano (e riescono) a controllare Roma.
Come detto, le ambizioni di Placido sono altissime. Il notevole battage pubblicitario che ha caratterizzato il lancio del film ci ha consegnato impegnative dichiarazioni d’intenti del regista: scheletri nell’armadio da estrarre, vie di denuncia da indicare, nuove strade di cinema “impegnato” da tracciare.
Se osserviamo Romanzo Criminale da quest’ottica, il risultato non può essere positivo. Premettendo la doverosa considerazione che la stagione politica che viviamo ci spinge, in materia di storia recente, a ribadire anche l’ovvio e a ricordare anche ciò che il semplice buon senso stesso dovrebbe rendere indimenticabile, il film di Placido allude, riporta e sottende tesi storiografiche piuttosto banali e ben note. Nessuno scheletro “dissotterrato”, quindi, in una denuncia che qualche lungaggine di troppo e una certa tendenza “estetizzante” annacquano impietosamente. Considerazioni, queste, che però ci instradano verso la reale natura di Romanzo Criminale: un film eccessivo, prolisso, troppo teso, violento e carico esteticamente, troppo “mobile” e “sinuoso”, ma proprio per questo straordinariamente accattivante e vincente, perché, laddove fallisce in presuntuosi e pretestuosi tentativi di denuncia, ci restituisce, finalmente, dopo anni, un mafia-movie che potremmo considerare incondizionatamente cinema di genere. Chi volesse godersi un film italiano di sorprendente fluidità, con il conforto della riconoscibilità di stilemi che referenziano il “genere” poliziesco non deve più soggiacere alla stracultiana legge di Giusti e dei suoi Kings of B’s, finendo per scoperchiare sarcofaghi che in taluni casi sarebbe meglio lasciare tappati. Placido riporta alla ribalta un cinema che vale perché è (suo malgrado, in questo caso) intrattenimento puro, perché finalmente distante dagli interstizi narrativi in cui il nostro cinema, vessato da tanta fiction, si era infilato. Basta donne con le paturnie che fanno le corna a mariti smarriti, donne smarrite cornificate da mariti con le paturnie, handicappati da brochure e omosessuali da rotocalco; basta con quel cinema asettico, sterile, “radiofonico”, irrimediabilmente distante dalla realtà dello spettatore medio. Placido ci restituisce, a sorpresa, un cinema che parla con le immagini, e con le immagini avvince e diverte, un cinema di genere attualizzato, politicamente “rovesciato” (com’è ovvio) rispetto ai fatali anni ’70, sorretto da un cast scintillante (eccezione: Accorsi). Di questi tempi, non è poco.
Simone Spoladori
Recensione n.2
Parlando di Romanzo Criminale, Michele Placido ha detto che con dei budget più consistenti anche in Italia possono prodursi buoni film di genere. Non si può che concordare con l’affermazione del regista. Aggiungiamo che alla base della riuscita di un film c’è sempre anche una buona storia da raccontare, cosa abbastanza rara di questi tempi, e quindi un’eccellente scrittura.
Il romanzo cult di De Cataldo era già un film nel momento della sua stesura. Lo stesso scrittore ha collaborato con Rulli e Petraglia alla sceneggiatura della pellicola già campione di incassi. Un grande lancio pubblicitario, un cast che raccoglie il meglio della nuova generazione di attori italiani. Romanzo Criminale è anche un film di moda. Rilancia gli anni 70 con i costumi e gli accessori dei protagonisti, sfrutta tutte le canzoni e le canzonette dell’epoca in una buona colonna sonora, diventa tristemente d’attualità con un grande sfoggio di “pippate” di cocaina e canne fumate con naturalezza.
Contrariamente a quanto potrebbe pensarsi, non guarda al poliziottesco anni 70 bensì allo Scorsese di Good Fellas, al De Palma di Scarface e, in alcuni frangenti al Tarantino de “Le Iene”. Tuttavia, Placido non copia nessuno ed anzi eccede con qualche personalismo nella seconda parte del film, la meno riuscita, con incursioni nel cinema di inchiesta lanciandosi in temi già affrontati dallo stesso regista, ma con esiti migliori, in “Un Eroe Borghese”.
Il film, abbastanza lungo, parte con ritmi altissimi coinvolgendo lo spettatore nell’ascesa criminale della banda della Magliana.
Vengono infatti tratteggiati i caratteri dei protagonisti, Libano, Freddo e Dandi quasi con tre distinti episodi. Meno riuscita, forse anche per la prova nervosa ed opaca di Accorsi, la figura del commissario Scialoja. Bravi comunque tutti gli attori, Santamaria, Favino e Rossi Stuart sono in continua ascesa. Jasmine Trinca è ormai più che una promessa. Anche i vari Venditti e Fassari e Scamarcio rendono al massimo intepretando personaggi secondari. Menzione a parte merita Anna Mouglalis per la sensualità che sprigiona interpretando Patrizia, così come l’avevamo immaginata nella lettura del romanzo.
Non troverete nel film i mirabolanti inseguimenti automobilistici che hanno reso celebre i film di malavita dei vari Di Leo, Massi, Lenzi e company. Non ci sono neanche degli eroi. Tanto sangue, tanta droga, e tanta Roma in una struttura narrativa complessa girata con maestria e con un ottima fotografia. L’epopea criminale dei ragazzi di borgata che divennero imperatori perde un po’ di ritmo quando inizia il loro declino. La presunta collaborazione alla strage di Bologna, l’intervento dei poteri forti ed occulti dello Stato nelle loro vite è proprio il punto debole del film. Sarebbe stato opportuno anche indicare alcune date che risultano fondamentali per la migliore comprensione della vicenda, mentre invece si scelgono dei filmati d’epoca per scandire il passare degli anni e il succedersi degli avvenimenti.
Ma aldilà di qualche comprensibile difetto, Romanzo Criminale è un prodotto riuscito. Un vero e proprio film di genere che apre uno spiraglio di novità in un panorama cinematografico nazionale ancorato esclusivamente alla vetusta commedia e alla riscoperta perenne di ciò che è stato.
Francesco Sapone