Recensione n.1

Per il suo debutto alla regia il giovane Fausto Paravidino sceglie la vita di provincia, con i suoi sogni, le contraddizioni e l’incombere della tradizione nell’impostazione dei rapporti sociali e dei legami affettivi. Al centro della narrazione sette ragazzi in cerca di qualcosa, ma soprattutto di un proprio posto nel mondo. Paravidino affronta le trappole del ritratto generazionale cadendo in qualche stereotipo e non riuscendo sempre a mantenere alto il respiro dell’affresco, ma bisogna riconoscergli una ruspante vitalità in grado di cogliere un sentire contemporaneo. Le storie nella storia hanno tracce di verità, e anche se non tutti gli spunti trovano adeguato sviluppo, per una volta nessuno sogna la fuga dalla provincia con destinazione i tropici, e il fine ultimo non è mai piangersi addosso. Così come droga, delinquenza ed eccessi restano perlopiù ai margini, senza diventare il banale punto di arrivo o di partenza. Il film comincia con una divertente e ritmata presentazione dei protagonisti, poi la struttura anticipa gli eventi per poi dettagliarli in un lungo flashback che porta a capire i personaggi e le loro motivazioni. Non tutto è a fuoco e soprattutto la parte finale si sfilaccia non poco (perché
la Golino si veste da prostituta? Era necessario mettere una pistola in mano al marito tradito? Lo stupro finale non è una caduta di stile rispetto al taglio problematico, ma brillante, adottato fino ad allora?), ma è un tentativo di dire altro partendo dal proprio ombelico. Gli interpreti si danno con energia contagiosa, a parte comparse e figuranti che sembrano volersi soprattutto divertire. Valeria Golino continua il suo cammino di sperimentazione maturando ad ogni film, e Riccardo Scamarcio non si limita a fare il piacione.

Luca Baroncini de gli Spietati

Recensione n.2

“Texas, un ritorno alla tradizione”
Ho visto con piacere il film “Texas” di Fausto Paravidino, (I,2005) pochi giorni fa all’interno del festival “Bozner Filmage” organizzato dal Film Club di Bolzano.
Da molto tempo non andavo al cinema a vedere un film italiano, non per un preconcetto, neppure per qualsivoglia “snobberia”, ma per un motivo semplice ed esauriente: il cinema italiano degli ultimi dieci anni mi ha stufato. Mi trovavo a bighellonare per la città di Bolzano in un momento di meritato riposo da viaggi e da lavoro, quando ho incontrato un mio giovane amico, di ritorno da Roma. Angelo Gennaccaro bolzanino si è trasferito a Roma a studiare recitazione e a gettarsi nel mondo dello spettacolo, è un appassionato di cinema italiano e non so in quale maniera mi ha convinto a seguirlo a vedere il film.
Il film “Texas” ha un pregio è girato da un gruppo affiatato di giovani bravi attori che, hanno in comune qualcosa che io apprezzo, la passione.
Quando da giovane mi occupavo di cinema in maniera più assidua e professionale, i miei scritti critici si occupavano del film, della sceneggiatura, delle tecniche di regia, della fotografia, l’estetica, il montaggio… ero limitato!
Purtroppo quello che mi ha limitato nel mio essere critico cinematografico è stato l’accademismo diffuso nella mia “personalità intellettuale”. Per criticare un film non bisogna parlare di cinema.
Il film “Texas” parla della provincia italiana, abitata da giovani.
Non credo che la provincia italiana esista ancora, l’Italia è un mondo urbano alimentato dai miti televisivi, dalle autostrade che ci portano in città, da un linguaggio e una moda comune a tutti. Il film di Paravidino esprime involontariamente questo concetto, perché per assurdo vuole essere un film generazionale dedicato ai giovani di provincia, ma è qualcosa di più profondo. Quella provincia letta nella sua accezione più comune: giovani disorientati, senza speranze, alcolizzati e drogati del fine settimana, eterni bambini alla scoperta del sesso come soddisfazione immediata di un bisogno di affermazione, dimentichi dell’amore della seduzione e della dolcezza, contestatori del mondo che gli è stato dato dai “grandi”. Questi elementi nel film di Paravidino divengono un contorno accattivante di tutta la storia raccontata, ma non è la storia.
“Texas”non è un film moralista, che vuole presentare il mondo deviato e pauroso di giovani sconosciuti agli adulti, quella palude disumanizzata e senza valori della “cultura” o meglio delle “culture” giovanili, altalenante tra dolcezza e violenza, gioia e tristezza, amicizia e indifferenza.
Il film di Paravidino è un film conservatore, per questo è un film diverso nel panorama del cinema italiano.
Leggo in queste sequenze un ritorno alla tradizione, ad un passato che non c’è più, all’eroica figura dei padri e delle madri, i quali donano amore, sicurezza e risolvono i problemi. Eroi sopravissuti alle difficoltà del dopoguerra italiano, alla fame, alle lotte sociali, a privazioni per far studiare i propri figli, certo genitori che non esprimo a parole i loro sentimenti ma sono punti cardine di sicurezza.
Come dimenticare quella bellissima battuta detta da una madre al giovane fidanzato della figlia, da questi amata con troppa superficialità: “E tu devi smettere di trattare male la mia piccolina”.
In questa frase si specchia un mondo, la semplicità dei buoni sentimenti, l’amore materno, la tradizione della famiglia italiana.
Un buon film che consiglio di vedere.

Beppe Mora