Capolavoro ?
In una metropoli come Los Angeles le persone non si toccano, non si parlano e non si sfiorano mai. Si muovono all’interno dalle loro autovetture, protette dal ferro e dal vetro, quando entrano in contatto è solo per scontrarsi, con l’effetto nefasto di un incidente stradale. Crash, appunto. Il concetto che esprime Don Cheadle nella sequenza iniziale del film è il motore propulsore dell’opera prima del regista Paul Haggis, sceneggiatore di Million Dollar Baby.
Riesce sin troppo semplice il paragonare Crash a Magnolia o America Oggi, in fondo con il film di Anderson ha in comune soltanto la struttura “circolare” e ad episodi, con quello di Altman oltre alla location Los Angelina, certamente il vario campionario sociale di cui narra le vicende. Se però per il cinico Altman i protagonisti delle shorts cut erano visti come dei disprezzabili insetti, Haggis ritrae in maniera meno spietata una società apparentemente multirazziale ma in verità chiusa in sé stessa.
Se Spike Lee ne “ la 25 esima ora” con il memorabile monologo di Edward Norton aveva affrontato le tensioni etniche provocate dall’11 settembre, Crash ne trasferisce gli effetti sugli abitanti di Los Angeles, la città senza centro. La paura, l’incomunicabilità e la diffidenza con e verso l’ ”altro” sono il pane quotidiano dei protagonisti del film. Una visione superficiale potrebbe far pensare all’ennesima pellicola su temi razziali. Haggis , in verità , si spinge oltre. Ogni personaggio vive un suo disagio e un dramma interiore. La tragedia è sempre dietro l’angolo ed è l’imprevisto drammatico che li farà incontrare o scontrare , facendo emergere anche la parte buona del cuore di ognuno. Poliziotti razzisti per necessità, donne ricche in crisi affettiva, ladruncoli neri, immigrati tailandesi e persiani. Tutti insieme incomprensibilmente nell’arco di 36 ore alle porte del Natale. Tutti a difesa del loro piccolo “territorio”, del dolore e della paura che li affligge. Los Angeles come una polveriera. Una sceneggiatura complessa e perfetta, montaggio veloce e attori a loro agio. Don Cheadle è anche co – produttore, Matt Dillon ritrova una propria identità attoriale. L’impressione è che il cinema americano indipendente stia finalmente ed effettivamente riscoprendo e rileggendo il nostro neo realismo. Un film all american e nel contempo molto europeo, un’opera che regala emozioni. Una sorpresa, una delle cose migliori di un arido 2005 cinematografico.
Voto 7,5
Francesco Sapone