Titolo originale: The Chronicles of Narnia: The Lion, the Witch and the Wardrobe
Regia: Andrew Adamson
Sceneggiatura: Ann Peacock, Christopher Markus, Stephen McFeely, Andrew Adamson
Fotografia: Donald McAlpine
Costumi: Isis Mussenden
Musiche: Harry Gregson-Williams
Montaggio: Jim May, Sim Evan-Jones
Anno: 2005 Nazione: Stati Uniti d’America
Distribuzione: Buena Vista
Durata: 125′ Data uscita in Italia: 21 dicembre 2005
Genere: avventura
Cast:
Susan Pevensie Anna Popplewell
Peter Pevensie William Moseley
Lucy Pevensie Georgie Henley
Jadis, la Strega Bianca Tilda Swinton
Edmund Pevensie Skandar Keynes
Recensione n.1
Divertimento per famiglie, da un famoso romanzo di C.S.Lewis. Durante la seconda guerra mondiale, 4 ragazzi vengono sfollati in campagna per sottrarsi ai bombardamenti nazisti sull’Inghilterra.
In un misterioso cottage, troveranno un armadio delle meraviglie, che li condurrà in un magico mondo.
Definito da alcuni “il signore degli anelli per bambini”, Narnia è un avvincente fantasy, che si adagia pigramente solo nella parte finale con la tipica battaglia risolutiva.
Gli effetti sono carini, alcuni personaggi forse non perfetti come caratterizzazione sul grande cinematografica (il doppiaggio del Leone resta un mistero).
Le tematiche sono semplificate e adatte a un pubblico giovane (soprattutto degli anni ’60 ad essere sinceri): la lealtà, l’unione familiare, l’onore…).
I personaggi sono quasi sempre schietti, chiari, cristallini e trasparenti, senza grosse ambiguità. Molto semplificati.
Il Bene è bene, il Male è male.
Niente a che vedere con le ambiguità e le sfaccettature di molti personaggi del signore degli anelli (Gollum, Frodo, Boromir), certamente più adulto come concezione.
Il tempo trascorre lieto e non ci si annoia, ma si osava sperare qualcosa di più.
VC
Recensione n.2
Presentato come un kolossal alla stregua de “Il Signore degli Anelli”, questa opera tratta dai bei libri di C.S. Lewis non tradisce le attese, ma, a ben donde, può essere considerata molto distante sia dalla trilogia di Tolkien che dalla saga di Peter Jackson.
La storia è quella di quattro ragazzini nell’Inghilterra della seconda guerra mondiale, che vengono tenuti distanti dagli echi del conflitto in una villa vittoriana. Qui scoprono che un armadio nasconde l’accesso ad un mondo meraviglioso, con fauni, nani, centauri, castori e altri animali parlanti. Soprattutto il cuore della storia sarà l’eterna lotta tra il bene e il male, qui incarnata dalla diatriba tra la falsa regina della foresta, che ha usurpato questo ruolo indegnamente, e una sorta di re leone (Hasl), con i loro rispettivi eserciti fatti di creature mitologiche e non; anche quest’ultimo eroe felino è solo un tramite perché….
Fino alla fine accadono avventure e imprevisti, che avranno, come ogni favola classica, un epilogo lieto e un po’ agrodolce.
Il film è girato con umiltà e saggezza, manca quasi del tutto il respiro epico e potentemente visionario dei film di Jackson (ma anche i testi di riferimento sono ben diversi). In effetti la mancata somiglianza con i film del famoso regista neozelandese non è un difetto, ma solo una caratteristica; qui si privilegia l’aspetto fantastico secondo un’estetica che, sebbene sia largamente supportata da tecnologie ed effetti digitali, è parente stretta di un cinema americano per bambini (e adulti) vecchia maniera, cosa che non si può dire de “Il Signore degli Anelli”, il quale invece è pieno di una visione d’autore moderna ed adulta, probabilmente adatta indifferentemente ad una fascia di pubblico che va dai ragazzini (scuole medie) agli adulti fino ai nonni.
Ai “grandi” può far bene ricordare ancora una volta che il mondo fantastico talvolta è più vero del mondo reale, e ci parla di cose profonde del nostro intimo.
Gino Pitaro newfilm@interfree.it
Recensione n.3
Non aprite quell’armadio
Come sarebbe bello trovare un passaggio segreto verso un mondo sconosciuto fatto della materia dei sogni, dove la realtà può essere tranquillamente messa tra parentesi. Nel film “Insalata Russa”, di Jurij Mamin, la porta-finestra di un appartamento di San Pietroburgo si affacciava direttamente sui tetti di Parigi. Nel lungometraggio di Andrew Adamson, tratto dalla saga di C.S. Lewis, l’armadio di una vecchia casa conduce invece nel magico mondo di Narnia, vittima del maleficio di una strega che impone l’inverno perenne. Ad aprire il varco tra cappotti e pellicce è la piccola Lucy, sfollata nella campagna londinese insieme alla sorella e ai due fratelli durante il secondo conflitto mondiale. La prima parte, quella della scoperta, è l’unica riuscita. Fa piacere che la storia non corra a perdifiato ma si soffermi sul senso di meraviglia, così come non dispiace la caratterizzazione dei quattro giovani protagonisti, desiderosi di fuggire da un presente in cui la fatica di crescere si affianca al dramma della guerra. Peccato che la guerra sia centrale anche oltre la soglia dell’armadio, dove i sogni prendono la sconsolante forma di un’ideologia aberrante. I quattro ragazzi diventano infatti, come da antica profezia, paladini di un Bene la cui strada è lastricata di cadaveri. La guerra “inevitabile” e “giusta”, oltre ad essere edulcorata (non si vede una goccia di sangue), viene data per scontata senza il minimo approfondimento, glissando su qualsiasi sfumatura che possa mettere in discussione l’agire dei personaggi. Si dirà che è la saga di Lewis a propugnare certi valori e che il film di Adamson si limita a dare visione a un pilastro della letteratura, ma l’assenza di dubbi e la dastrica semplificazione con cui gli eventi corrono nella seconda parte è un problema di organizzazione della sceneggiatura. Così come l’esaltazione della morale conservatrice sottesa al racconto è un problema della regia pedestre di Adamson, incapace anche di trovare l’epico laddove ce ne sarebbe assolutamente bisogno. Come si fa, dopo la trilogia di Peter Jackson, a impostare una battaglia con così poco pathos, dove la spettacolarità assume le banali forme di un videogioco in cui tutto è virtuale, e si vede, e dove basta la risurrezione di un leone che parla come Dan Peterson (mai scelta di doppiaggio – Omar Sharif – fu più infausta) per far trionfare la giustizia? Nella piattezza degli sviluppi si distinguono la carismatica Tilda Swinton, cui basta un’occhiata per lasciare il segno, i due castori digitali, i cui battibecchi suscitano moderata simpatia, e la piccola Georgie Henle, che ha una naturale spontaneità davvero contagiosa. Fa rabbia, però, pensare che il suo viso espressivo e ingenuo venga utilizzato per comunicare la stessa morale logora di sempre, basata su una visione implacabilmente manichea che il tempo pare non essere ancora stato in grado di aggiornare al buon senso. Può avere poco a che fare con il cinema, ma se è il cinema a spacciare per edificante una storia in cui: Babbo Natale regala spade, archi, frecce e pugnali per combattere; per essere Buoni bisogna per forza trasformarsi in Eroi; la massima ambizione è diventare “Flagello dei Lupi”; il successo si esprime nel ricevere una corona che ti rende superiore agli altri; il Male è una tentazione da cui si può guarire attraverso il riscatto; quattro ragazzini uccidono allegramente sciabolando a destra e a manca e vantandosi del truce operato; beh, se tutto questo passa per “corretto” ed “educativo” (non dimentichiamo che si tratta del film Disney di Natale destinato alle famiglie,) è quello stesso cinema a dovere essere messo in discussione. Andando oltre la forma, peraltro debole, e ponendo difese per arginare la inaccettabile sostanza.
Luca Baroncini de Gli Spietati