Scheda film
Regia: Alberto Caviglia
Sceneggiatura: Alberto Caviglia, Benedetta Grasso, Paolo Cosseddu
Fotografia: Andrea Locatelli
Montaggio: Gianni Vezzosi
Scenografie: Andrea Castorina
Costumi: Sara Fanelli
Musiche: Pasquale Catalano
Italia, 2015 – Mockumentary – Durata: 87′
Cast: Davide Giordano, Anna Ferruzzo, Bianca Nappi, Omero Antonutti,
Mimosa Campironi, Lorenza Indovina, Niccolò Senni
Uscita: 1° ottobre 2015
Distribuzione: Bolero Film
Sale: 19
Je suis Leonardo!
Si può parlare dell’antisemitismo in una chiave che non sia per forza di cose drammatica? Optare per un registro ironico caratterizzato dalle diverse sfumature dello humour significa mancare di rispetto a coloro che, direttamente o indirettamente, ne sono state e ne continuano ad essere vittime? A queste domande prova a dare delle risposte Alberto Caviglia con il suo Pecore in erba, presentato nel concorso di “Orizzonti” alla 72esima edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia e nelle sale a partire dall’1 ottobre con Bolero Film.
Il regista romano classe 1984 punta sulla satira per affrontare il suddetto tema in modo nuovo e sotto una prospettiva inedita. Per farlo si prende una discreta dose di rischi (quanto accaduto a Charlie Hebdo, ovviamente con le giuste distanze e proporzioni del caso, ne è la dimostrazione), consapevole che lo sbagliare significherebbe automaticamente attirare su di sé – e sulla sua opera prima – una tempesta di critiche e manifestazioni di disappunto, tanto da parte dell’opinione pubblica quanto dalle Comunità coinvolte. Trattasi di un terreno minato, dove anche il minimo gesto o una parola fuori posto potrebbe innescare una reazione a catena. Pellicole del passato e anche recenti ci hanno dimostrato che si possono percorrere strade alternative: Benigni ad esempio, nel lontano 1997 con La vita è bella, era riuscito a portare sul grande schermo una fiaba capace di aprire squarci di luce nell’orrore di un tremendo incubo ad occhi aperti come quello dell’Olocausto. Con altre traiettorie e su argomenti diversi, ma ugualmente delicati come il terrorismo e la malattia, Chris Morris prima (in Four Lions, lo scrittore e regista britannico mostra le divertenti vicissitudini di un gruppo di jihadisti di Sheffield che si improvvisano terroristi) e Patrick O’Brien poi (in TransFatty Lives, il documentarista statunitense narra in prima persona e in maniera dissacrante la sua esperienza di malato di Sla) hanno offerto ulteriori testimonianze in tal senso. Caviglia non è da meno, almeno per quanto concerne il coraggio. Non raggiunge le vette toccate dai colleghi, ma il risultato ottenuto va comunque apprezzato e sostenuto.
L’esordiente capitolino mette la firma su un mockumentary spassoso e sagace, in grado di propinare sorrisi e anche spunti di riflessione, “giocando” con la Storia e l’immaginario. Lo stile e l’impianto drammaturgico seguono lo schema classico del sottogenere di riferimento, spacciando per veri, fatti mai avvenuti e persone mai esistite, incentrati però su un argomento reale e purtroppo ancora tristemente attuale. Il tutto mescolando “ad arte” e senza soluzione di continuità finti footage, materiali fotografici, sequenze di fiction e interviste appositamente realizzate per raccontare della misteriosa scomparsa in quel di Roma di un giovane attivista poliedrico e tuttofare di nome Leonardo Zuliani. Caviglia, ben supportato dalla troupe e da un nutrito cast dove spiccano Davide Giordano e Anna Ferruzzo (rispettivamente nei ruoli del protagonista e di sua madre), oltre ad una serie di guest star (su tutte Carlo Freccero nella parte di se stesso), ne dipinge un “finto ritratto” che ricostruisce la storia del ragazzo in modalità “coccodrillo”, dalla nascita sino al momento della sparizione. Qualche limite c’è, ma le intuizioni drammaturgiche, alcune soluzioni tecniche e le risate regalate, li attutiscono e li mettono in secondo piano. La durata si rivela a conti fatti un po’ eccessiva, con l’autore che cerca con tutte le armi a sua disposizione di allungare il più possibile la timeline, quando al contrario la parola fine sarebbe dovuta arrivare molto prima. Ciò che resta e comunque un’operazione di buona fattura, piacevolmente imperfetta.
RARO perché… è un raffinatissimo esercizio intellettuale di ironia. Purtroppo non per tutti.
Voto: 7 e ½
Francesco Del Grosso