Scheda film
Regia: Nabil Ayouch
Soggetto e sceneggiatura: Nabil Ayouch
Fotografia: Virginie Surdej
Montaggio: Damien Keyeux
Scenografia: Hind Ghazali
Musiche: Mike Kourtzer
Prodotto da: Nabil Ayouch, Saïd Hamich, Eric Poulet
Marocco/Francia, 2015 – Drammatico – Durata: 103’
Cast: Loubna Abidar, Asmaa Lazrak, Halima Karaouane,
Sara Elmhamdi Elalaoui, Abdellah Didane
Uscita: 8 ottobre 2015
Distribuzione: CINEMA di Valerio De Paolis
Sale: 28
Cercasi disperatamente amore
Coincidenza ha voluto che i primi due titoli distribuiti dalla neonata CINEMA di Valerio De Polis siano stati entrambi bersaglio del bavaglio e della mannaia della Censura dei rispettivi Paesi di origine. Coraggio, follia o lungimiranza; chiamatela come vi pare, anche se per noi quanto fatto da De Paolis è la normalità, o almeno quello che gli addetti ai lavori dovrebbero fare per dare visibilità e voce a quei film – e ai rispettivi autori – diventati oggetto di occultamento. Resta però da registrare il fatto che nel circuito italiano (e non solo) sono davvero in pochissimi a sposare la causa, prendendosi tutti i rischi del caso. Dunque, a quanto pare non è poi così scontato. Lui è uno di questi e gli va riconosciuto. Così a distanza di poco tempo dall’uscita di Taxi Teheran di Jafar Panahi, vincitore dell’Orso d’Oro e del Premio Fipresci alla passata edizione della Berlinale, è arrivato nelle sale nostrane dallo scorso 8 ottobre, dopo le ottime accoglienze ricevute a Cannes e Toronto, Much Loved. L’ultima fatica dietro la macchina da presa di Nabil Ayouch, alla pari di quella del collega iraniano (ma anche delle precedenti), è finita sotto il fuoco incrociato della censura marocchina subito dopo la presentazione alla kermesse francese. Messa al bando, la pellicola ha scatenato reazioni collettive isteriche e violente in Marocco e nel mondo arabo, che hanno costretto il regista e gran parte del cast a vivere sotto scorta per mesi interi e subire un processo. Ora per fortuna la situazione si è attenuata, ma ciò che è accaduto ad Ayouch e al suo cast è assurdo e deve comunque far riflettere, a maggior ragione se vi sono stati in passato altri casi analoghi, come ad esempio quello di Bahman Ghodabi con il suo I gatti persiani (2009). Anche per lui e per il suo pluri-premiato film la medesima sorte.
Ci sono per tanto opere che nel dna hanno un valore di denuncia capace di andare ben al di là delle qualità artistiche comunque riconosciute, nonostante qualche squilibrio e scollatura di natura drammaturgica. Quella firmata da Ayouch è una di queste. Much Loved fa parte di quelle forme di espressione artistiche, ma soprattutto di pensiero e di intelletto, che scelgono di non allinearsi e di piegarsi a quei diktat che, se non rispettati, rispondono con la repressione nelle sue svariate forme. Ci troviamo pertanto al cospetto di una pellicola che non ha paura di dire e di mostrare, che ha dovuto pagare un prezzo altissimo per aver raccontato una storia vera, quella di quattro donne “guerriere” che per sopravvivere in quel di Marrakech hanno scelto di prostituirsi. In Occidente e in gran parte del resto del globo terracqueo un plot simile sarebbe all’ordine del giorno (vedi Whore o Le buttane), ma non in Paesi come il Marocco dove l’immagine che si ha e si deve dare della donna, della sua condizione e del suo ruolo, devono per forza di cose obbedire a dei canoni ben precisi di sottomissione e remissione.
Le protagoniste del film sono donne libere, disinibite, emancipate, allegre, vivaci e complici, senza protettori o papponi al seguito, che vendono i propri corpi in nome del Dio Denaro e per mantenere le rispettive famiglie dalle quali vengono vampirizzate. Donne, queste, alla disperata ricerca di amore, diverso da quello mercenario che offrono ai clienti di turno, che sognano la fuga da una nazione che è figlia di una Società e di una cultura “ricche” di paradossi. Fanno fronte a umiliazioni (i festini nella villa dei sauditi, la sodomizzazione nella caserma della polizia) e sono costrette a muoversi come schegge impazzite nella notte di una metropoli senza speranza, ma conservano comunque la gioia di vivere e cercano di preservare la propria dignità che viene spesso calpestata. Sono loro il cuore pulsante di quello che in molti definiscono “cinema scomodo”, ma che in realtà dovrebbe essere solo un film come tanti, che racconta una storia come tante. Il merito di Ayouch più di ogni altra cosa è quello di averle rese visibili, perché visibili per volontà di molti non lo sono.
RARO perché… la maggiore democrazia da noi non aiuta comunque…
Voto: 8
Francesco Del Grosso