Scheda film
Regia: Lenny Abrahamson
Soggetto e Sceneggiatura: Emma Donoghue
Fotografia: Danny Cohen
Montaggio: Nathan Nugent
Scenografie: Ethan Tobman
Costumi: Lea Carlson
Musiche: Stephen Rennicks
Canada/Irlanda, 2015 – Drammatico – Durata: 118′
Cast: Brie Larson, Jacob Tremblay, Joan Allen, Sean Bridgers, William H. Macy.
Uscita: 3 marzo 2016
Distribuzione: Universal Pictures Italia
Le Cronache di Jack. La Mamma, l’Orco e l’Armadio.
Room, presentato in anteprima mondiale al Telluride Film Festival e vincitore del People’s Choice Award al Festival di Toronto 2015, sbarca alla Festa del cinema di Roma e marca il territorio. Spazio ritagliato con grande merito, che lo vedrà sicuramente protagonista ai premi Oscar 2016. Il prestigioso premio vinto al Festival canadese è il più ambito negli ultimi anni, dove hanno trionfato pellicole del calibro di: The Imitation Game (2014), 12 anni schiavo (2013) e Il lato positivo (2012).
La trama, che obbligatorialmente sarà svelata senza spoiler, vede una giovane mamma, Joy Newsome (Brie Larson, 21 Jump Street – 2012), insieme al figlio Jack (Jacob Tremblay, praticamente all’esordio con il grande cinema) di cinque anni, vivere in una casetta da giardino in un luogo non ben definito. La loro vita è tutta all’interno di questa stanza. Il mondo (reale) è visto attraverso un lucernario posto sul soffitto del capanno e la vita all’esterno è rappresentata attraverso un malconcia televisione, che in questo caso non funge da finzione, ma da mondo parallelo che attinge al vero.
La regia è affidata al promettente Lenny Abrahamson (Frank – 2014), che gestisce con sobrietà un argomento delicato. Estremamente affidabile, il giovane autore riesce a coniugare nelle sequenze chiave, azione ed intimità, senza mai interrompere il feeling tra film e spettatore. Anche nei frame di cupa sofferenza, di claustrofobia materiale e mentale, dove la staticità può uscire prepotente, si rimane sempre con quel nodo alla gola, che è un misto tra pathos e riflessione.
Room è diviso in due parti ben distinte, proprio come un primo e secondo tempo di una vita attraversata da due opposte stagioni: prima troviamo l’estate, un amore senza barriere che va in forte contrasto con la vita vissuta dentro quattro mura, così da renderlo più possente e prezioso, poi l’inverno sinonimo di dolore. Un’innovativa e riuscita sceneggiatura (Emma Donoghue, autrice del libro omonimo) ci propone un inedito “dopo”. Il male, solitamente tenuto per la costruzione del film, fa capolino nella seconda parte della pellicola. Ribaltamento vincente, che ha anche il grande pregio di non attingere dal tormento la più classica delle conseguenze: la vendetta.
Tra le ulteriori considerazioni positive, che si possono fare sull’intrigante drammaturgia di questa storia, c’è la stupefacente abilità di nascondere per poi stupire. Momenti empatici accompagnati da una palpitante colonna sonora (Stephen Rennicks, compositore affezionato ai film di Abrahamson). L’esempio ideale vede un tappeto sporco e maleodorante essere il protagonista, nonché ultima coperta metaforica che separa il bimbo dal mondo reale, di una delle sequenze più avvincenti di tutto il lungometraggio.
Magistralmente interpretato da Brie Larson, che ci regala una “Ma”, nomignolo datogli dal piccolo Jack, coraggiosa e non convenzionale. Lo stesso fanciullo ci offre un protagonista credibile ed impressionante dal punto di vista artistico. Questo connubio rende vivido l’amore materno, senza mai cadere in vizi di forma. Inscalfibile amorevolezza filiale, vista raramente al cinema.
L’idonea claustrale scenografia (Ethan Tobman, Quel momento imbarazzante – 2014) di Room ci porta a riflettere e a capire che dentro ognuno di noi esistono diverse stanze alle quali siamo legati. Alcune fondamentali per il nostro saper essere e altre da cancellare. Quest’ultime non devono per forza essere negative, ma nella normale evoluzione delle cose devono essere abbandonate, in modo da consentire una naturale crescita interiore ed una matura e salda consapevolezza di se stessi. Il più delle volte non si riesce ad evitare di rinunciare alle proprie comodità e sicurezze. Bisognerebbe almeno tenere con se la parte protettrice della stanza e non quella cupa, che ti ancora ad una visione minima di se stessi. Come il piccolo lucernario presente nel capanno, che ti consente di vedere una minuscola parte di quello che potresti essere.
Room è senza dubbio il vincitore morale della Festa del cinema di Roma 2015. Un film edificante. Un’inestimabile perla. Un bulldozer che frantuma ogni tipo di barriera e che evidenzia quanto possa essere infinito l’amore di una madre verso il figlio e viceversa.
Voto: 7 e ½
David Siena