Scheda film
Regia: Daniele Luchetti
Cast: Rodrigo De La Serna, Sergio Hernandez, Muriel Santa Ana, José Angel Egido, Alex Brendemuhl, Mercedes Moran, Pompeyo Audivert, Paula Baldini
Sceneggiatura: Daniele Luchetti e Martin Salinas
Scenografie: Mercedes Alfonsin
Fotografia: Claudio Collepiccolo, Ivan Casalgrandi
Montaggio: Mirco Garrone e Francesco Garrone
Musiche: Arturo Cardelus
Italia, 2015 – Drammatico/Biografico – Durata: 98′
Cast: Rodrigo De La Serna, Sergio Hernandez, Muriel Santa Ana, José Angel Egido, Alex Brendemuhl, Mercedes Moran, Pompeyo Audivert, Paula Baldini
Distribuzione: Medusa
Uscita: 3 dicembre 2015
È più facile dire quello che non è. Non è un film religioso, non parla della “chiamata” di Bergoglio, non parla di vocazione, non rappresenta un “santino” edulcorato, non parla di uomini di Chiesa e tanto meno di Vaticano. Chiamatemi Francesco, l’ultimo lavoro diretto da Daniele Luchetti (Anni felici, Mio fratello è figlio unico) e prodotto da Pietro Valsecchi (Taodue Film) sulla vita di Papa Francesco è un film che racconta la storia di un uomo e di un Paese, l’Argentina. Un film audace considerando l’aura di mito attorno al personaggio e soprattutto il fatto che sia ancora in vita.
Le due storie sono funzionali l’una all’altra, attraverso la drammaticità dei fatti storici del Paese emerge il coraggio di Bergoglio; mentre la sua straordinaria umanità accentua la tragicità degli eventi. Ma questo non deve far pensare a una enfatizzazione, i fatti sono narrati con estremo realismo. Come gli stessi autori affermano, il “film è ricco di verità e dalla verità si sprigiona un’emozione incredibile”.
Ed è così. Il film emoziona. Racconta storie di uomini e donne durante la dittatura militare di Videla, quando Bergoglio, ancora molto giovane, viene nominato Padre Provinciale dei Gesuiti per l’Argentina. Gran parte del film è incentrato su questi anni di dittatura, dal 1976 al 1981, quando scomparirono quasi 3.000 persone (i desaparecidos), contrari o semplicemente sospetti di andare contro il potere militare. Persone anche molto vicine a Bergoglio. Lui risponde aiutando in silenzio (anche perfetti sconosciuti), riuscendo a volte a salvare vite, altre volte no, ricordando alcuni eroi che fecero la stessa cosa durante il nazismo (non è un caso che Videla fu soprannominato Hitler della Pampa). Dalla dittatura alla vita da “esiliato” (una breve scena nel film), per ricordare il suo legame con le periferie, con gli ultimi e gli emarginati, prima di diventare aiuto vescovo a Buenos Aires (e qui emerge il suo impegno concreto nelle favelas).
Ogni scelta mostra la forza, l’umanità, la dedizione ma soprattutto la fede smisurata di quest’uomo, che fa venire voglia di credere in Dio anche ai più scettici, perché come dice Lucchetti, è un film che racconta “un personaggio che crede” e alla fine “credi nelle persone che credono” (e il sillogismo aristotelico fa il resto). Si scopre un Bergoglio inedito in gioventù, dotato di grande fermezza, coraggio ed energia, con capacità di mediazione, doti di amministratore e di comando, e una sensibilità verso le donne: nel film sono forti e combattive, spesso protagoniste, quasi a ribadire l’attenzione che dimostra quotidianamente Bergoglio alla figura femminile (dall’auspicato accesso al sacerdozio all’assoluzione per aborto); senza contare l’importanza che hanno avuto nella sua formazione morale e sociale (come la sua professoressa di chimica Esther Ballestrino interpretata da Mercedes Moran).
Il regista ha deciso di rispettare la storia dell’Argentina e raccontare un personaggio “stando dalla parte del personaggio”, senza prendere posizione, anche alla luce delle polemiche su una possibile connivenza di Bergoglio con il regime (addirittura fece messa per Videla e famiglia); Luchetti ha “obbedito alle leggi della narrazione”, raccontando tutto quello che ha raccolto sul campo, decine e decine di testimonianze che dovrebbero garantire la verità. Per questo a tratti è quasi un docu-film anche grazie alla scelta di attori argentini, cileni e spagnoli e alla scelta estetica squisitamente latina, mostrando anche il popolo sudamericano in tutta la sua cristianità.
Cinquant’anni di vita di un uomo raccontati con una sceneggiatura asciutta e due attori diversi (Rodrigo De La Serna, per Bergoglio dal 1961 al 2005,e Sergio Hernandez, dal 2005 al 2013). De La Serna già apprezzato in I Diari della motocicletta” (di nuovo diritti in Sudamerica con il Che), mentre Hernandez, attore cileno recentemente visto in “No –I giorni dell’arcobaleno” (anche qui, diritti e oppressione con il dittatore Pinochet). De La Serna è perfettamente aderente al personaggio in ogni situazione, mentre resta impresso il sorriso finale di Hernandez (l’inquadratura si sofferma per svariati secondi sul primo piano sorridente) subito dopo la votazione del Conclave che lo porterà a diventare Papa: la sintesi estrema del carattere semplice di quest’uomo. Due ottime interpretazioni che non fanno che esaltare l’umanità del personaggio.
Voto: 7 e ½
Marta Fresolone