Titolo originale: Le couperet
Regia: Costa-Gavras
Sceneggiatura: Jean-Claude Grumberg, Costa-Gavras
Fotografia: Patrick Blossier
Musiche: Armand Amar
Montaggio: Yannick Kergoat

Anno: 2005
Nazione: Belgio / Francia / Spagna
Distribuzione: Fandango
Durata: 122′
Data uscita in Italia: 10 febbraio 2006
Genere: drammatico
Raymond Machefer Olivier Gourmet
Marlene Davert Karin Viard
Gerard Hutchinson Ulrich Tukur
Bruno Davert Josè Garcia

 

Tempo di “ristrutturazioni, delocalizzazioni e scandali finanziari”; già il cinema ha affrontato recentemente l’argomento con diversi film tra cui: “In Good Company” di Paul Weitz e “Dick e Jane: operazione furto” adesso nelle sale, opere varie e diverse, ma anche il cinema inglese e spagnolo aveva toccato più o meno centralmente questi temi in opere eterogenee.
L’idea è veramente azzeccata: un uomo di grande esperienze e competenza nel settore della produzione della carta viene licenziato a causa di una ristrutturazione che porta gli azionisti a realizzare utili del 16%. E’ l’epoca del turbo-capitalismo, o meglio, della turbo-finanza. Tanta finanza e poca economia. Ai protagonisti dell’industria, e nel caso specifico, del settore della carta, non interessa nulla del prodotto in sé, ma di risultati finanziari, di interessi sul capitale, di percentuali di resa sui mercati finanziari. Altrove il costo del lavoro è più basso ed in nome del “dio denaro” si è disposti a buttare sul lastrico centinaia di migliaia di persone.
Bruno però una soluzione ce l’ha: una sola fabbrica è rimasta più o meno solidamente radicata nel territorio: l’ “Arcadia”. Il nostro protagonista mette un annuncio di lavoro per esperti ingegneri nel settore della carta, e in questo modo riesce a conoscere quali potrebbero essere i suoi diretti concorrenti per un posto nella prestigiosa “Arcadia”, quindi decide di eliminarli uno dopo l’altro, ricordando il vecchio motto latino….
Gli interpreti sono adeguati e brillanti, il tono del film assume talvolta toni drammatici, ma più spesso quelli di commedia nera, a tratti grottesca, che finisce per incidere nell’animo e nella sensibilità dello spettatore che si sente partecipe del sarcasmo del film.
Che dire, viviamo in un’epoca di paesi in via di sviluppo ed emergenti (ed è gusto così), ed è naturale che la torta della ricchezza si debba spartire con altri paesi, che a loro volta cominceranno anch’essi ad essere motore di economia in modo sganciato e autonomo dalle politiche americane o dell’ Europa occidentale. E’ quasi ovvio.
Il guaio è che, specialmente in paesi come l’Italia, non si è proceduto con adeguata lungimiranza a differenziare e specializzare l’economia in settori importanti e strategici, non si è investito in ricerca e sviluppo. Non si è adeguatamente intervenuto nel settore della cultura, che forma e forgia l’anima di un popolo e la sua sensibilità, privilegiando, come in altri ambiti, clientele di vario tipo. Non c’è un disegno organico di promozione umana e sociale, e quindi non ci rimane che essere “pionieri”. Pionieri di un nuovo mondo, anche (e soprattutto) in casa nostra….o tuttalpiù vi potreste trasformare in “cacciatori di teste”, ma nel Belpaese sarebbe quasi impossibile non essendo la nostra una nazione meritocratica; eliminando quelli, che seppur in modo ossequioso di apparenze e superficialità varie, sono persone competenti, non combinereste nulla perché la gaudente penisola è il luogo dove sbuca gente dal niente e dove vedete persone che chissà come e perché riscaldano poltrone in caldi e accoglienti C.d.A. fatti da gente del “terziario avanzato” che incrociano dati e statistiche, ma che vivono fuori dal contatto con la realtà vera, e che sono l’antitesi di una qualsiasi idea da “capitani d’industria”.
Il simpatico Bruno, nella versione italiana a tema de il “Cacciatore di Teste”, dovrebbe essere capace di fare una strage umanitaria di tutti coloro che in qualche modo possono spedire un curriculum accettabile, per essere sicuro di essere lui stesso il “papabile”, l’unico!
Finalmente un bel film estero e “delocalizzato” per la distribuzione italiana, cioè la Fandango.
Da vedere.


Gino Pitaro