Triangolo spuntato
Parte conclusiva della “trilogia della vendetta” di Park Chan-wook, “Lady Vendetta” vira al femminile ciò che “Old Boy” aveva declinato al maschile. Il punto di partenza è simile: un’ingiustizia che priva la protagonista di anni di vita, la ricostruzione degli eventi e la terribile resa dei conti. La prima parte ricalca “Old Boy” soprattutto nella costruzione del racconto, con la scansione degli eventi che procede per associazione di idee, prima spiazzando (lo spettatore non ha modo di capire chi sono i personaggi e quello che stanno facendo), poi chiarendo e infine affascinando per l’ardire della narrazione.

L’andamento, tutt’altro che lineare, regala le medesime sensazioni di piacevole stordimento, grazie soprattutto al talento visivo del regista coreano, ancora una volta capace di creare sequenze folgoranti per composizione dell’inquadratura e impaginazione. Una volta messa in chiaro la motivazione della protagonista (la brava Lee Young-ae), però, non resta spazio che per l’esecuzione della vendetta (debitrice di “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie). L’ironia si assottiglia, le invenzioni visive si placano, le tentazioni gore restano tali e il greve, con tanto di esplicitazione di un senso del peccato, prende il sopravvento. Il cambio di registro non toglie nulla all’abilità registica di Park Chan-wook, ma toglie mordente alla sua visione. Se “Old Boy” giocava con gli archetipi della tragedia classica costruendo un racconto forte e coinvolgente, con “Lady Vendetta” il regolamento di conti si fa meno stratificato, pone meno interrogativi e, di conseguenza, offre meno spunti di interesse.
Da applauso i titoli di testa.


Luca Baroncini
de gli spietati

Lady Vendetta: non sono una signora!
Da Venerdì 13 gennaio 2006 all’Aula Magna Centro Studi (SalaPasolini)
In esclusiva per Pordenone l’ultimo capolavoro di Park Chan-wook.

A Cinemazero continua la grande stagione di capolavori con, in esclusiva per Pordenone, LADY VENDETTA dell’eccentrico autore coreano Park Chan-wook che chiude con questa “nostra signora vendetta” una trilogia cupa e allo stesso tempo travolgente che unisce in una triade, esplorando l’impeto e il desiderio del regolamento dei conti, i precendenti capolavori Old Boy e Mr. Vendetta (Sympathy for Mr Vengeance).

Ma sulla scia di Old Boy  anche il coreano Park Chan-wook sembra assicurare una garanzia con LADY VENDETTA. Dopo essersi concentrato su personaggi maschili nei primi due film della sua trilogia della vendetta, Mr Vendetta (Sympathy for Mr. Vengeance) e Old Boy, Park voleva cambiare strada ed esplorare una direzione differente. Scrivendo con in mente l’immagine tranquilla e gentile dell’attrice Lee Young-ae, molto popolare in Asia, Park crea il personaggio di Geum-ja, una donna misteriosa che è allo stesso tempo il più angelico degli angeli e il più oscuro dei demoni. Il risultato di questa collaborazione ispirata tra Park Chan-wook e Lee Young-ae è il film unico e penetrante LADY VENDETTA.
A differenza dello stile freddo e asciutto di Mr. Vendetta e il mistero lussurioso di Old Boy, LADY VENDETTA è più misurato ed ambiguo. Imperdibile.
Geum-ja è una ragazza che ha trascorso in prigione tredici anni della propria vita per avere procurato la morte di un bambino di sei anni. Accusata ingiustamente, la protagonista, scontata la pena, si vuole vendicare con il vero autore del misfatto.
Strutturato con repentini flashback che ricostruiscono il passato delle compagne di carcere, e formalmente rigoroso nella scelta delle inquadrature, Lady Vendetta è incisivo fin dai titoli di testa (un bianco accecante fa da “carta” su cui vengono disegnate rose rosse) e cresce in un climax ascendente e drammatico.
Lady Vendetta ha il merito di colpire e di lasciare un segno profondo, quasi indelebile, nella mente dello spettatore.
“Io sono una persona pacifica e tranquilla – dice a scanso di equivoci l’ autore coreano di Old boy – ma tutti coltiviamo dentro, seppelliamo rabbia e vendetta, sentimenti negativi di cui non riusciamo a liberarci. Oggi vanno per la maggiore nelle rivalità etniche e religiose, fra i marines americani nell’ Iraq”. Il suo film, ellittico e fascinoso, chiude una trilogia che ora gli Usa cercano di copiare, è un geniale affastellarsi di crudeltà e culmina con una terza parte strepitosa per tensione spirituale e fascinazione visiva. “Se si agisce in molti c’ è un momento di riconciliazione sociale”, spiega l’autore. “Le donne si accollano volentieri i complessi di colpa da cui deriva poi il desiderio di espiazione, verso la santità”. Park Chan-wook non sembra un torturatore sadico, se non del pubblico. Quale inconscio coltiva? “Faccio sogni costosi e non ho i soldi per tradurli in cinema”.
Promosso al rango di cineasta di culto fuori dei confini proprio grazie al primo Sympathy for Mr. Vengeance (2002), due anni dopo il regista ha diretto Old Boy, un secondo capitolo sullo stesso tema premiato a Cannes da Quentin Tarantino e uscito con buon successo sugli schermi italiani. Malgrado l’intenzione dichiarata di abbandonare la tematica del vendicatore, Park Chang-wook (con l’intervallo dl un episodio del collettivo Three Extremis) ha poi realizzato la terza parte di quella che è diventata una saga della vendetta: Sympathy for Lady Vengeance, film in concorso a Venezia. Leggenda vivente in patria, il quarantaduenne Park Chan-wook, esponente della nouvelle vague cosmopolita (chiamata, a Seoul, “hanryu” o 386 Generation) sa maneggiare le attrezzature mentali, musicali, vitali, culinarie, narrative e visuali postmoderne con originalità e gusto smodato della provocazione. Si potrebbero infatti paragonare i momenti più riusciti di questa Lady Vendetta alle lezioni sull’America di John Waters in Killer Mom. Per i continui detour emozionali, l’amore totale che questi cineasti scandalosamente “cattolici” dedicano agli errori dei più deboli , per i folli puri (l’uso del wilderiano “nessuno è perfetto”, qui farebbe impallidire contemporaneamente Wilder e Diamond), parallelamente al loro odio cristiano e irriducibile per gli orrori eseguiti da moderati, farisei, ipocriti, poliziotti e ricchi. In sostanza da tutto il popolo sudcoreano, per come è rimasto traumatizzato dal massacro di Kwangju del 1980 e dalla dittatura di Chun Doo-wan.