Imbarazzante. Non ci sono altre parole per descrivere l’opera seconda del musicista Franco Battiato. Attraverso una narrazione dalle pretese oniriche si passa dai giorni nostri all’Ottocento e si ha modo di entrare in contatto con le ultime giornate di, nientepopodimeno che, Ludvig van Beethoven. Ma veniamo ai difetti. La pretenziosità prima di tutto, subito evidente negli improvvisi inserti in digitale sporco che sembrano più derivare dal caso che da una precisa scelta stilistica; così come non si percepisce alcuna direzione degli attori, che vagano senza controllo ripetendo a pappagallo, e con falsissima convinzione, frasi di cui sembrano ignorare il significato. In particolare, davvero imbarazzanti Sonia Bergamasco in abiti maschili e boccoloni nei panni del principe Lichnowsky, amico e mecenate di Beethoven, e Fabrizio Gifuni con capello lungo e sorriso costante stampato sul viso. Per tacere del grande regista Alejandro Jodorowsky. Si butta con mimica eccessiva nel ruolo rischioso di Beethoven e non esibisce alcun carisma (certo, il doppiaggio gracchiante e fuori sincrono non lo aiuta). Ma proprio tutti gli elementi cinematografici risultano insalvabili: il montaggio sbaglia i tempi, i costumi paiono raccattati dove capita, la scenografia è di una povertà che non ha nulla di rigoroso, la fotografia appare sbiadita. Anche la musica, ricercata per evitare scelte banali, non arriva. Ma il peggio del peggio è nelle pretese intellettuali della sceneggiatura (dello stesso Battiato con il filosofo Manlio Sgalambro) che sfida, perdendo, il ridicolo, costruisce sequenze dall’imponderabile valore aggiunto e azzarda dialoghi di sublime vacuità (“esporre l’esoterico a chiunque non va bene”, “prenda contatto con l’alluce destro”, “le auguro la migliore delle cacate, senza difficoltà, in questo meraviglioso cesso!”).
Ed ora passiamo ai pregi: non pervenuti.
Luca Baroncini de Gli Spietati