Da sempre il cowboy virile, forse proprio per l’aspetto macho dall’apparenza imperturbabile, è un’icona gay. Se il cinema pornografico di genere e qualche indipendente lo ricordano sovente ai diretti interessati, mancava una conferma mainstream. Ang Lee non ha quindi inventato nulla, ma ha il pregio di avere osato ufficializzare, con il contributo di due quasi star, ciò che era solo per pochi. Note di costume a parte, “Brokeback Mountain” è anche un bel film. Ang Lee si è sempre distinto per la sensibilità della sua visione (anche nell’affrontare un super-eroe come nel poco convincente “Hulk”), proprio per l’attenzione ai personaggi e ai risvolti psicologici. Quella che mette sullo schermo è una grande storia d’amore che contiene tutti i cliché del melodramma: l’impossibilità di un futuro, la
passione rubata alla grigia quotidianità, i tentativi di andare avanti nonostante tutto e la tragedia improvvisa. L’aspetto sociale resta ai margini della vicenda, incentrata perlopiù sul profondo legame affettivo che si instaura tra i due protagonisti. L’andamento è lento ma conturbante e la prima parte (la più riuscita), scandisce la nascita di un sentimento forte con i ritmi della natura. Pochi dialoghi e una selvaggia spontaneità sullo sfondo di un Wyoming immenso e spettacolare, incapace però di racchiudere un amore così fuori dalle convenzioni. La seconda parte, invece, mantiene lo stesso rigore ma ha una resa più discontinua a causa della dilatazione temporale della vicenda, anche se la ripetitività non è dovuta al languire della materia narrativa (la sceneggiatura è in crescendo e tutt’altro che piatta), ma diventa contrappunto emotivo alla progressione affettiva dei due protagonisti. Per mettere la parola fine il copione osa poco, ma anche in questo caso Ang Lee si mantiene fedele al taglio asciutto adottato e non indulge alle lacrime. Decisivo l’apporto pacato delle note country della colonna sonora e l’abbraccio luminoso della fotografia. Perfetto il cast, soprattutto nei comprimari. Con i due interpreti principali, invece, non è sempre complicità: a volte Heath Ledger e Jake Gyllenhaal sembrano fuori parte e stridenti, in altri momenti si crede totalmente in loro. Nel complesso creano comunque due personaggi sfumati e a loro modo memorabili per quella che si caratterizza soprattutto come una grande storia d’amore, atipica nei protagonisti, ma classica nei palpiti del cuore.
Luca Baroncini de Gli Spietati
Di Brokeback Mountain, già premiato in Europa e plurinominato agli oscar,si parla ormai da tanto tempo. Il mito del western ribaltato, i cow boy gay , l’ennesima rappresentazione di un America bigotta e conservatrice. In effetti, il film non è nulla di tutto ciò.
Ang lee è regista esperto, eclettico e famoso. Taiwanese ma americano d’adozione, conosce benissimo il way of life del paese che lo ospita. Già con “Tempesta di Ghiaccio” aveva affrontato i problemi di una famiglia investita dalle nuove istanze libertarie e sessuali dei primi anni 60. Anche in Brokeback Mountain si parte dal 1963.
I sixtyes sono gli anni della contestazione, del Vietnam, degli Hippyes e non del west. Certamente i due protagonisti demoliscono l’immagine del marlboro man anche perché sono abbastanza goffi sia come guardiani di un gregge – e non di una mandria – che come partecipanti ai rodeo. Del resto, anche per quanto riguarda tutti i grandi western si è sempre parlato di eroi dalla sessualità abbastanza sfumata. Quindi, sin’ora nulla di nuovo sotto il sole. Ma Brokeback Mountain del west ha la bellezza della natura, l’immensità dei cieli e dei paesaggi del Wyoming e del Texas, la colonna sonora fatta di riff elettrici e dal banjo country..
Tratto da un racconto di Annie Proulx, il film narra la storia d’amore ventennale di Jack e Ennis.
Ingaggiati per controllare un gregge di pecore, i due hanno il primo approccio amoroso proprio tra le montagne di Brokeback, nel corso di un estate.
Convinti che si sia trattato soltanto di una parentesi in una perfetta vita eterosessuale, con la paura di una società che non potrebbe mai accettare un sentimento di natura diversa, Jack ed Ennis, terminato il lavoro, si separano.
Il mondo e la vita lontani da Brokeback Mountain non sono però così concilianti.
I rispettivi matrimoni non sono felici e non riusciranno ad evitare l’esplosione di un amore lungo una vita. Un amore consumato in week end tra le montagne incantate del primo incontro. Due esistenze bruciate dalla passione clandestina avversata da chi non è in grado di capire.
Ennis collezionerà fallimenti nel tentativo mal celato di rinunciare alla sua natura di macho e di family man, Jack è quello più femminile dei due e cerca riparo in un matrimonio agiato nella speranza di realizzare, un giorno, il suo vero sogno d’amore con Ennis.
Brokeback è un buon film ma forse è stato un po’ troppo osannato. Del resto, Ang Lee non sfugge alla tentazione di realizzare un melodramma dalla sceneggiatura perfetta ma non per questo non privo di difetti. E’ proprio nella sua parte meno riuscita, la seconda, che il film riesce a coinvolgere lo spettatore nella love story. E’ necessaria la comparsa di mogli mediocri e che “non capiscono”, di qualche personaggio affetto da machismo e di bambini urlanti per mostrare il disagio con il quale i due protagonisti vivono l’amore di una vita. L’avversione della società verso un rapporto omosessuale è lasciata ai ricordi di infanzia di Ennis, alle battute di un barman e a quelle del datore di lavoro Aguirre. La moglie ed il suocero di Jack neanche si accorgeranno di lui, troppo gretti e legati al denaro, la moglie di Ennis sceglierà la via del divorzio restando in superficie e ritenendo Jack soltanto un deviato.
Lee ha il pregio di non indugiare sulle scene di sesso, di lasciare spazio ai dialoghi dei protagonisti e ai rumori della natura complici del primo fatale amplesso.
Bravi ma non eccezionali Ledger e Gyllenhall, note di merito per gli attori non protagonisti e per la colonna sonora.
Resta una sola domanda, stupida ma spontanea, sei i protagonisti fossero stati un uomo ed una donna il film sarebbe risultato comunque bello? Alla notte degli oscar l’ardua sentenza.
I “cow guys” hanno incantato Venezia, e messo in difficoltà la distribuzione del film in Italia, che non sa che titolo dargli! La traduzione letterale del titolo in effetti non è molto elegante…(ndr alla fine il titolo scelto è stato un salomonico “I segreti di Brokeback Mountain).
Due cowboy moderni si innamorano durante un periodo di lavoro passato insieme in montagna. Scandalo e disonore, con tanto di famiglie rovinate. Ma l’amore durerà a lungo…Toccante a tratti, un po’ troppo compiaciuto e estenuato nella parte finale.
Voto 7
FS VC
Il silenzio come voce della solitudine dell’isolamento dal mondo è il trema portante del nuovo film di Ang Lee. I suoi protagonisti non sono uomini che sussurrano ai cavalli e i colori del Wyoming non sono lussureggianti come quelli del Montana di Redford, la sua macchina da presa non accarezza mai le distese d’erba bruciate dal sole né si ascolta lo scrosciare dei fiumi ma si percepisce dal grande schermo il freddo delle notti montane che penetra nelle ossa, la fatica del lavoro della transumanza, la precarietà di una vita fatta di raccolti sudati, di vestiti sgualciti di case scrostate, di altalene arrugginite e strade sterrate e polverose che portano a paesini decadenti dove i bar vendono birra chiara e cattivo wisky.
Ennis e Jack sono figli ripudiati dell’America rurale del Wyoming e petrolifera del Texas che dagli anni sessanta agli anni ottanta non sembra essere cambiata se non nelle loro basette lunghe. Una terra che li ha traditi già dalla tenera età negando loro l’affetto dei padri, mostrando loro la vergogna, la colpa di essere diversi, di non esser neppure buoni cowboy da rodeo, costringendoli a vite di facciata nelle quali il capofamiglia è colui che porta i soldi a casa, taglia il tacchino nel giorno del ringraziamento e fa a pugni per difendere l’onore delle donne.
Le mogli dal canto loro fintamente sottomesse o apertamente emancipate sono quelle che rompono i rapporti non nel momento in cui scoprono che il proprio partner è gay ma nel momento in cui verso la società non assolve più ai suoi doveri di maschio. Così come mantidi religiose dopo essersene servite lo eliminano ripudiandolo come marito, umiliandolo come amante, sostituendosi a lui sul lavoro ed infine togliendolo di mezzo senza rimpianto servendosi di finti incidenti.
L’unica speranza per l’amore puro, ingenuo, disinteressato e sconfinato nel tempo e nello spazio che lega i due protagonisti è trovare un posto soprattutto della mente che a riparo da occhi indiscreti possa proteggerli, nasconderli e farli sentire liberi, un luogo o forse un non luogo dove si possa scoprire chi si è veramente. Brokeback mountain rappresenta il punto d’incontro tra la consapevolezza della diversità, la spavalderia e la capacità di donarsi all’altro di Jack con la sua voglia di rivendicare una vita normale davanti alla società e la schiacciante, opprimente, malinconica, razionalità di Ennis che gli vieta perfino di ammettere di essere gay (“io non sono così” ringhia dopo la notte trascorsa con Jack e ancora sul finale gli rimprovera “so cosa c’è in Texas per quelli come te”) tanto da non riuscire a pronunciare la parola “noi” e da impedirgli di immaginare che un noi sia possibile in futuro. Solo a casa dei genitori di Jack quando quest’ultimo ormai non c’è più Ennis capisce ciò che ha perso e cosa lo avrebbe aspettato se avesse avuto la forza di vivere fino in fondo i propri sentimenti: una famiglia che nonostante tutto lo avrebbe accolto, una terra che avrebbe potuto dargli di che vivere e un unione per sempre. Nel finale Ennis con le sue parole “lo giuro” suggella la rivendicazione del suo amore per il compagno e manda allo spettatore il segnale del primo passo verso la rottura del silenzio con il quale tutto era iniziato.
Ombretta Stefanoni