In una Gran Bretagna del futuro dominata da un regime totalitario, tutto è controllato rigidamente attraverso il potere della TV e della negazione di ogni libertà di espressione.
Evey vive da sola; in passato, i suoi genitori, attivisti ribelli alla dittatura nascente, erano stati deportati e probabilmente uccisi quando lei era una bambina.
Una sera, distrattamente, vìola il coprifuoco e viene appostata da uomini del regime che vogliono usarle violenza, ma all’improvviso irrompe “V”, un uomo mascherato che la salva massacrando i malintenzionati; successivamente la invita ad un “concerto”, che si rivela un abile orchestrazione di un atto terroristico volto a fare esplodere i luoghi del potere ed a suscitare orgoglio e indignazione negli inglesi per lo status attuale, ma questo non è che l’inizio di un grande disegno di quest’uomo misterioso che riserva non poche sorprese. Egli fu vittima di un qualcosa, che lo spettatore scoprirà, volto ad essere finalizzato alla conquista del potere…
I fratelli Andy e Larry Wachowski, dopo i meritati fasti di Matrix, rientrano in gioco con una sceneggiatura ispirata ad un fumetto, che personalmente non conoscevo, ma di cui, vedendo qua e là lo story board, ho scoperto essere abbastanza coerente e capace di rivisitarlo in modo accattivante ed adeguato.

I due scrivono questo copione per la funzionale regia di James McTeigue, e fanno un lavoro stilisticamente attuale ma sostenuto anche da citazioni iconografiche vicine ad un immaginario da “fantascienza e d’avventura del passato” che però non è pedissequo e didascalico al fumetto degli anni 80 firmato da Alan Moore e David Lloyd.
Quello che interessa agli autori è giocare con gli opposti; nella nostra vita di oggi il concetto dell’esplosione provocata di palazzi e simboli delle nostre città si associa al terrorismo in quanto espressione ostile ai valori ed alle scelte del mondo occidentale, ma qui, invece, la cruenza è giustificata dalla riconquista della libertà. L’idea del diverso, del musulmano e del Corano da noi si è recentemente legata ad un concetto di intolleranza, nel film invece la dittatura impedisce il tenere libri religiosi “diversi” e quindi essa stessa è intolleranza, e non l’islamismo; il Regno Unito che non ha mai conosciuto dittature è qui il teatro di una delle più aberranti; ecc. La morale è che non c’è chi ha la patente dell’intolleranza e della diversità rispetto ai valori di democrazia e civiltà, ma che essi sono fragili ovunque, eppure forti perché sono un aspirazione innata nell’uomo e quindi possono essere oscurati per qualche periodo, ma non cancellati, mai!
Tutto il cinema di matrice anglosassone e occidentale ha, chiaramente, una profonda affinità con gli spettatori (ovvero tutti noi) ai quali si rivolge, ma ha un vizio d’origine, cioè leggere la storia, anzi la propria Storia, come un Esempio di Tutte le Storie del Mondo, ma non è così, ovvero ci sono civiltà diverse che hanno sviluppato valori e sistemi diversi.
Tuttavia molto cinema di questo periodo riflette su questi temi, qui nel genere fantapolitico.
Il film gioca qualche buon momento ad effetto: il ruolo della “maschera”, che si trasforma da mezzo per nascondere la propria identità a mezzo per affermarla; la caratteristica della “maschera” evolve da simbolo che identifica il “colpevole” a mezzo, che attraverso l’utilizzo di massa, impedisce ogni funzione di polizia e di controllo sul popolo….mica si possono arrestare milioni di cittadini che mettono una maschera e che in questo modo dissentono dal potere….
Ancora prima bella l’idea della prigionia di Evey, che si dimostra poi non essere tale.
La “striscia” a cui l’opera si ispira però ha un ruolo essenziale in tutti gli avvenimenti esplicati nella sceneggiatura.
Il film ci offre spunti di riflessione, non particolarmente originali ma nemmeno banali, sulle ragioni della lotta, di ciò che è lecito o non lecito sacrificare, dei limiti consentiti o meno, sulla natura del potere.
Accattivante e non puramente accademico l’impianto iconografico e scenografico del film.
Un po’ di Orwell e di “science fiction” d’epoca in salsa “comics and matrix”.

Gino Pitaro                 newfilm@interfree.it

IL FILM
Preso singolarmente il lavoro di McTeigue non è male. La prima sezione filmica soffre di un’inadeguatezza formale, dovuta ad una recitazione non proprio eccellente, una regia piuttosto anonima e la staticità rispetto al fumetto, il che, detto più semplicemente, indica un’assoluta mancanza di originalità propria. Il personaggio di V è stereotipato, poco approfondito, quello di Eavy pure, il film non decolla, stenta pure sotto il profilo puramente tematico, non trasmette un’idea di Inghilterra veramente totalitaria. Formulette espressive che a tratti ricordano un cinema di serie B. Ma è con la seconda parte che la pellicola si risolleva, prendendo quota. Innanzitutto si distacca leggermente dal fumetto di Alan Moore e David Lloyd, almeno in alcune scelte narrative che alleggeriscono il carico altrimenti eccessivo. E poi (ri)trova senso in alcune sequenze degne di nota: quella in cui V è colpito dai proiettili, la prigionia di Eavy e, ovvio, il finale.
IL FUMETTO
Moore scrisse V in pieno periodo Tatcher. Il film non riadatta quelle tematiche, ne cambia proprio le prospettive, immergendolo all’interno di una situazione di relazioni internazionali ed interne differente rispetto agli anni Ottanta. È proprio qui il guaio. Se non avessi letto il fumetto giudicherei V for vendetta un film audace, interessante, al di sopra della media. Ma se è confrontato al lavoro di Moore non si può supportare un giudizio radicalmente positivo, specialmente se si pensa alle omissioni perpetrate rispetto all’origine cartacea, che ai fini del suo significato risultano fondamentali. Tante attese solo in parte ripagate. Non stupisce che Moore abbia ritirato il suo nome dalla produzione.
VOTO: 7
Andrea Fontana

andrea_fontana81@yahoo.it

Alan Moore: quando il genio si fa corpo