cast artistico

sinossi

Un viavai di personalità prestigiose si sussegue nel lussuoso quartiere   dell’Avenue Montaigne a Parigi, incrociandone i destini – un po’ ad opera del caso e un po’ per i desideri inseguiti – tra sale da concerto, grandi teatri, case d’aste, hotel esclusivi.

Tra gli altri: Jean-François (ALBERT DUPONTEL), pianista acclamatissimo e confuso, gestito dall’impeccabile moglie-manager Valentine (LAURA MORANTE); Catherine (VALÉRIE LEMERCIER), attrice celeberrima eppure insoddisfatta; Jacques (CLAUDE BRASSEUR), facoltoso collezionista d’arte alla ricerca della vera fortuna   – e le persone che ruotano intorno a loro.

UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO racconta i tre giorni che precedono una data cruciale per ognuno di loro: il 17 sera, Jean-François regalerà al suo raffinatissimo pubblico il concerto più importante della sua vita e alla moglie Valentine la parte più vera di sé, Catherine porterà in scena il suo più grande desiderio, Jacques liquiderà in un’asta il suo intero patrimonio per poter giungere all’essenziale.

Protagonisti di un intreccio di vicende esilaranti eppure commoventi, i vari personaggi saranno accomunati dalla conoscenza casuale di Jessica, una giovane cameriera di provincia (CECILE DE FRANCE) spinta dal suo desiderio di cambiar vita, nonché dalla vispa nonnina (SUZANNE FLON), alla conquista della abbagliante e nevrotica “Ville Lumière” .

i protagonisti 

JESSICA è LA CAMERIERA

(CÉCILE DE FRANCE)

Non avendo altro che il fresco ottimismo dei suoi vent’anni, la giovane disoccupata di provincia Jessica segue i saggi consigli della nonna e parte per Parigi alla scoperta di un universo che lei crede paradisiaco.

Dall’osservatorio privilegiato del Bar des Theatres, dove trova un impiego temporaneo, in tre giorni Jessica avrà modo di conoscere da vicino alcuni dei suoi più prestigiosi clienti… e le loro tragicomiche nevrosi.

Come tutti i protagonisti della storia, anche per lei il giorno 17 sarà fondamentale per individuare il suo posto nella vita: trovato per caso, inseguito per desiderio.  

 

CATHERINE è L’ATTRICE

(VALÉRIE LEMERCIER)

Artista eclettica, adorata dai fanatici delle soap come dagli estimatori del teatro classico.

Iperattiva, stressata, insoddisfatta di ciò che tanti le invidiano. Estremamente affascinate nel suo umano cadere e rialzarsi.

La performance teatrale del 17 è l’occasione per raggiungere il traguardo più ambizioso della propria carriera.

 

JACQUES è IL COLLEZIONISTA D’ARTE

(CLAUDE BRASSEUR)

Un self-made man col fiuto del talent-scout.

Per tutta la vita, ha cercato e scoperto artisti e opere d’arte che ora valgono una fortuna.

Eppure l’ormai anziano Jacques confesserà al figlio Frédéric la sua frustrazione per non aver mai raggiunto l’essenziale.

Il 17 sera, alla vendita all’asta del suo intero patrimonio, Jacques scoprirà la sua vera fortuna.

 

JEAN-FRANĊOIS e’ IL PIANISTA

(ALBERT DUPONTEL)

Gode di fama mondiale, è adulato e fin troppo richiesto.

Il 17 sera, suonerà Beethoven nella più bella sala del mondo, con i migliori concertisti e per il pubblico più raffinato.

Ma lui non desidera che solitudine, libertà, un pubblico di persone comuni.

 

VALENTINE è LA MANAGER

(LAURA MORANTE)

Dedicandogli la sua vita, il suo amore, tutte le sue energie, Valentine è stata per il marito JF una manager impeccabile.

Ha pianificato nel dettaglio la sua vita privata e professionale.

E ora rischia di perderle entrambe.

Il concerto del 17 sera sarà la partita finale.

 

FRÈDÈRIC è IL FIGLIO DEL COLLEZIONISTA

(CHRISTOPHER THOMPSON)

Figlio del collezionista d’arte Jacques, che odia e ama. La vendita all’asta del patrimonio paterno segna anche la fine di una dannosa rivalità.

 

BRIAN SOBINSKI è IL REGISTA AMERCIANO

(SYDNEY POLLACK)

Uno dei più prestigiosi registi al mondo, nel mirino di Catherine. A Parigi per un casting, sarà presto indotto a rivedere i suoi criteri di scelta.

 

MADAME ROUX è LA NONNA DI JESSICA

(SUZANNE FLON)


La dolcissima e vivace nonna di Jessica esorta la nipote in crisi a cambiar vita: partendo all’avventura e cercando lavoro sì, ma nel lusso!
NOTE DI PRODUZIONE

DIALOGO TRA

DANIÈLE THOMPSON (regista, sceneggiatrice)

CHRISTOPHER THOMPSON (attore, co-sceneggiatore)

 

Danièle Thompson: Una decina di personaggi ruotano intorno ad Avenue Montaigne… potremmo dire che UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO è un “film di quartiere”. Una sera, sul marciapiede di Avenue Montaigne, ho osservato la folla di gente che si ammassava venendo da tutti quei luoghi allo stesso momento: dalla Comédie di Champs-Elysées, dalla sala concerti, dalla casa d’aste, dagli alberghi di lusso e dalle boutiques. In quel piccolo perimetro c’era un viavai incredibile. Ci sono tornata più volte. La gente va e viene, dei mondi molto diversi si incrociano. Ci sono artisti, macchinisti, amatori e commercianti d’arte, una moltitudine di persone che normalmente non si incontrano. Sullo stesso marciapiede si consegnano i costumi, le scenografie, gli strumenti musicali, gli oggetti d’arte ma anche le verdure e il pesce per il ristorante situato in cima al teatro o per l’adiacente albergo Plaza Athénée.

 

Christopher Thompson: E’ un angolo di Parigi dedicato allo spettacolo, alla cultura e al lusso. Si potrebbe dire al “superfluo”. Ma è un angolo che fa sognare e, trattenendosi fino a sera inoltrata, si scopre una vera e propria vita di quartiere, frequentato però da una folla di turisti, artisti, clienti, ecc… Le possibilità di intessere storie da romanzo sono infinite.

 

DT Prendendo un po’ le distanze, oggi mi rendo conto che, senza volerlo, i nostri film seguono uno stesso iter: delimitiamo una specie di terreno – il luogo, il tempo, i personaggi… – e poi partiamo alla ricerca della storia. PRANZO DI NATALE (La Buche), è una famiglia, tre giorni, Natale. JET LAG (Décalage horaire), è un incontro amoroso, un aeroporto, 24 ore. UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO, tre giorni che precedono una serata cruciale per tutti i personaggi. E soprattutto un quartiere…

 

CT …con un punto di incontro: il bar di fronte.

 

DT Il Bar des Theatres è un microcosmo. Ci si ritrovano gli spazzini e le modelle, i portieri e i clienti degli alberghi di lusso. E’ anche un rifugio. Il bar a modo suo racconta come si evolve la nostra società. Il bistrot è un sopravissuto della vecchia Parigi, determinato a resistere in un quartiere che sta per essere ingoiato dal lusso.

 

CT Un film intero che si svolge praticamente in un unico luogo: è quasi una sfida. Ma quel luogo ha il vantaggio di possedere scenari straordinari. Ci siamo spesso chiesti se la situazione non rischiasse di diventare claustrofobica. Ma, dopotutto, la forza della sceneggiatura sta nei vari personaggi e nella loro evoluzione. Pensiamo spesso alla frase di Frank Capra: “Quello che interessa alla gente, è la gente”. D’altronde, l’unità di luogo ha già superato le sue prove. L’altro fattore a rischio era l’unità di tempo. Avevamo voglia di scoprire man mano i personaggi e di vederli evolversi, anche se in un tempo ridotto…

 

DT Questo è il privilegio del cinema. Possiamo sopprimere i tempi morti, evitare ciò che ci rallenta nella vita. Possiamo essere veri senza essere realistici. Acceleriamo tutto: il ritmo, gli incontri, i sentimenti. In un film, i personaggi si amano, cambiano punto di vista, cambiano vita nel giro di poche ore. Questa intensità fa parte della gioia dello spettacolo.

 

CT Però per arrivare a quel punto ci vuole molto tempo, una maturazione. All’inizio avevamo molti più personaggi e ciascuno aveva la sua storia che si doveva incastrare con le storie degli altri. Bisogna saper sacrificare una scena o un personaggio a cui si tiene se non ha più un posto nella sceneggiatura quando questa si evolve. E questo vale fino al montaggio.

 

DT E’ quel che si intende quando nella scrittura si parla di “pagina bianca”: all’inizio ci sono alcuni colori astratti, uno scenario, delle sagome. Naturalmente c’erano delle basi. Per esempio, avevo in mente da molto tempo la custode del teatro che va in pensione, interpretata da Dani. Anche il personaggio dell’attrice, interpretato da Valérie Lemercier. Ma dopo ci vogliono mesi di confronto a due affinché dei personaggi sopravvivano e altri muoiano.

 

CT In realtà non si smette mai di chiedersi: siamo arrivati sino in fondo al personaggio? E’ lì, è vivo? Che cosa lo fa interagire con gli altri personaggi? Spesso ne viene fuori un mistero. Il risultato a volte sorprende noi stessi. Ci sono delle motivazioni e degli aspetti dei personaggi che si scoprono soltanto a film finito. Sono le conseguenze di un lungo lavoro che aggiunge strato su strato.

 

DT Avendo scritto insieme tre film, ci siamo accorti che ogni volta attingiamo alle stesse fonti. Abbiamo voglia di raccontare i momenti di crisi. I nostri film si focalizzano in genere su persone mai del tutto serene.

 

CT In UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO i personaggi sono tutti insoddisfatti. Anche quelli che sono ricchi, belli e famosi da fare invidia sentono che qualcosa manca. Stanno cercando altro.

 

DT Le loro difficoltà nutrono lo spettacolo. Si potrebbe, con le stesse problematiche, scrivere film sia drammatici che comici. A me piace oscillare tra i due generi, cercando l’equilibrio tra l’emozione e il riso. E’ quello che vivo nella vita di tutti i giorni: si piange, poi si ride. Ma UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO è comunque una commedia.

 

CT …una commedia umana.

 

DT Nella vita, come al teatro, abbiamo spesso voglia di un altro posto. Ci si dice: starò meglio, ci vedrò meglio da un po’ più vicino al palco, più a destra, più a sinistra. Adocchiamo, cambiamo, andiamo avanti fino alle prime poltrone… spesso per accorgerci che la vista è peggiore di dove stavamo prima. Come teorizzato da Shakespeare, la nostra vita somiglia a un teatro.

 

CT In UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO, gli oggetti, le persone, i punti di vista sono in perpetuo movimento. Con una domanda che rimane comunque sospesa: quando si fermerà tutto? Con il personaggio di Claude Brasseur, il collezionista, la domanda diventa ancora più cruciale perché egli sente di essere vicino alla fine della sua vita. Che cosa rimarrà di noi, che cosa trasmetteremo?

 

DT Effettivamente è una domanda che attraversa il film in filigrana soprattutto con il personaggio di Suzanne Flon e quello che trasmette alla nipote: la gioia di vivere, la speranza, la grinta e il gusto dell’avventura.

CT Per il collezionista e suo figlio il passaggio è testimoniato da una scultura di pregio, ‘Il Bacio’ di Brancusi. Uno vende, l’altro compra. Credo che sia anche un passaggio di potere e un dialogo che si stabilisce in un momento chiave della loro vita: per uno è l’ora di un bilancio, per l’altro l’ora di maturare. Hanno bisogno l’uno dell’altro per affrontare tale difficile passaggio, di cui la scultura è simbolo.

 

DT La questione del passaggio si vede anche nel dettaglio di un capo d’abbigliamento. Con la costumista Catherine Leterrier abbiamo scelto per il figlio uno stile che corrispondesse alla sua evoluzione. E’ un intellettuale brillante, ma con la sua valigetta e il vecchio impermeabile ha un look un po’ grigio. Mentre suo padre, partito dal nulla e divenuto uomo di mondo, è molto elegante con i suoi maglioni di cashmere e i suoi cappotti classici. Tra di loro scopriamo dei segreti, dei ricordi, delle bugie, dei rimproveri. L’ultimo giorno è il figlio a portare un cappotto blu molto elegante. Il passaggio è fatto quasi per mimetismo.

 

CT Per noi due, madre e figlio, il passaggio è stato fatto in parte attraverso il lavoro nel cinema.

 

DT Ma io mi sono avvicinata a te in punta dei piedi, mentre il rapporto di collaborazione con mio padre Gérard era stato molto più netto.

 

CT Per molto tempo ho dubitato dell’idea di formare una coppia di sceneggiatori, come tu avevi fatto con Gérard. Poi invece è successo, in modo del tutto naturale. Di fatto credo che questo lavoro in comune sia un modo molto privilegiato per conoscersi e dialogare: è un rapporto molto ricco ed è una fortuna.

 

DT Ho pensato dall’inizio che sarebbe stato interessante e mi sono detta: “Non si può non provare solo perché Christopher è mio figlio.”

 

CT Perché una coppia di sceneggiatori funzioni, bisogna che l’uno tiri fuori dall’altro il meglio e l’imprevisto.

 

DT Tu per me hai una qualità fondamentale: sei un rompiscatole. Mi carichi della tua immaginazione e creatività, ma sai anche bacchettarmi quando si rischia di scivolare nel banale. E’ un punto di vista importante.

 

CT E tu non lasci mai la presa, sei implacabile: “ Abbiamo proprio detto tutto? Che cosa stiamo comunicando esattamente?” Il che ci fa chiedere continuamente: perché facciamo questo film?

 

DT E’ un lavoro che richiede disciplina, rigore. Non si può mai perdere il filo nonostante si parli di tutt’altro durante le pause per il caffè.

 

CT E’ bello essere in due. Si comincia una partita in cui il tuo partner deve saper rimandare la palla. Si può essere due bravi giocatori ma non sapere attuare lo scambio. E’ essenziale che i due giocatori trovino l’equilibrio giusto per il confronto vincente.

CÉCILE DE FRANCE

parla di Jessica (la cameriera)

 

Jessica è in contatto con quasi tutti i personaggi del film; è il filo conduttore della storia e serve da guida in un mondo, quello del lusso e delle celebrità, che scopre contemporaneamente allo spettatore.

Mette estremo entusiasmo in tutto ciò che fa. Parte alla conquista della gente che incontra allo stesso modo in cui parte per Parigi: da esploratrice. La sua forza sono la sua freschezza e l’ingenuità dei suoi vent’anni. Non ha preconcetti e affronta la vita con una certa innocenza. Leggendo la sceneggiatura, l’ho subito trovato un bel personaggio, molto simpatico e positivo. Volevo trasmettere a chi avrebbe visto il film quella sensazione di luminosa positività, perciò ho fatto attenzione a non far scambiare la sua naivetée per insulsaggine, che avrebbe fatto disaffezionare da lei. Bisognava individuare un punto di vista preciso, e quello della regista Danièle Thompson è stato determinante. Mi ha concesso molta libertà di interpretazione, ma la sua regia è estremamente accurata e capace di rettificare anche i dettagli. Il personaggio di Jessica è emerso dall’unione dei nostri due punti di vista.

 

Jessica arriva direttamente da Mâcon a Parigi, la “Ville Lumiere”. Ogni cosa la incanta, soprattutto in Avenue Montaigne, dove trova lavoro in un posto che la mette in contatto con personalità importanti. Sua nonna le ha sempre parlato di Parigi come di un sogno, un tesoro da scoprire, e lei vede in quegli incontri un’opportunità. La sua vita non è mai stata facile, mille cose sono successe e, come spesso sintetizza: “è una lunga storia…”: sappiamo che gli studi non sono andati molto bene, il suo ragazzo l’ha lasciata, è stata affidata a sua nonna quando i suoi genitori sono scomparsi… Una volta a Parigi, non ha né lavoro, né domicilio. Tuttavia, il sogno che insegue è molto più importante.

La fiducia nei consigli della nonna (Suzanne Flon), con cui ha una forte complicità, permette a Jessica di andare avanti. Da quel momento, si lancia nella vita con entusiasmo. Mi ricorda l’avventuriera che ero quando sono arrivata a Parigi. A vent’anni si ha una immensa curiosità e una determinazione incredibile, forse perché non si è ben consapevoli dei rischi. Jessica non ha preclusioni, né la corazza che gi abitanti delle metropoli si forgiano per proteggersi dallo stress della quotidianità. E’ fresca e piena di entusiasmo. Anch’io ero così e ho frugato nella mia memoria emotiva per ritrovare questo stato di fiducia e spensieratezza. Per strada, la gente infelice o i mentecatti mi avvicinavano per parlarmi perché sentivano che ero pronta ad ascoltarli. Credo che sia quello che succede a Jessica nel film. La sua personalità invita alla confidenza. Con lei, ognuno è portato a svelarsi. E’ quello che mi piace di UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO: è un film che ci porta a comprendere delle persone che a priori crederemmo molto lontane da noi. Ogni personaggio giungerà così a sentimenti reali. Avevo molto amato PRANZO DI NATALE, che Danièle e Christopher avevano già scritto insieme. UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO ha lo stesso spirito: è un film molto umano.

VALÉRIE LEMERCIER

parla di Catherine Versen (l’attrice)

 

Catherine sembra vittima di un tornado. Sempre in movimento, stressata dai ritmi frenetici e dal suo desiderio di non accontentarsi di ciò che ha ma di andare oltre. La sua vita coincide col suo mestiere d’attrice. Diversamente dagli altri personaggi del film che hanno un amore o un legame di famiglia, Catherine è una donna sola che può contare solo sulle proprie energie. Ma quando alla fine raggiunge il suo scopo, è forse la più felice di tutti.

 

Ha un rapporto difficile con il successo: quasi la imbarazza essere riconosciuta. E’ divertente vedere quanto sia goffa nel ricevere continui complimenti. Quando sta per iniziare una nuova carriera, c’è sempre chi le rammenta proprio ciò che preferirebbe dimenticare: la soap di dubbio gusto che è ancora in onda. Quale protagonista principale di una serie tv tormentone, si fa presto a diventare parte della quotidianità della gente comune: rispetto alla tv, il   cinema frappone molta più distanza spazio-temporale. Ma Danièle Thompson ha le idee chiare al riguardo: essere popolare non vuol dire essere   condannata a ripetersi sempre nello stesso ruolo. Lei stessa ne ha dato prova. Ha continuato a scrivere dei film per il grande pubblico lavorando senza problemi anche per attori come Chéreau. In UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO, Catherine riesce a interpretare il detestato Feydeau sul palcoscenico e a convincere il regista dei suoi sogni che può trasformarsi in una eccellente Simone de Beauvoir al cinema… E’ una persona che non si arrende mai; un personaggio molto toccante perché quando inciampa si rialza. Adoro la sua forza di volontà.

 

Catherine è maldestra, ma ha fascino. Si lamenta, è irritante… ma mi piace molto. Quando le cose vanno male, io non dico niente, sparisco, vado in ansia… Catherine invece si sfoga e le cose si mettono a posto. Il suo carattere è così lontano dal mio che morivo dalla voglia di calarmi nel suo ruolo! Catherine e i vari personaggi del film avrebbero potuto avere un carattere più nostalgico, con più sfumature; Danièle ha optato invece per la vis comica ed è ciò che preferisco. Attraverso Catherine, Danièle vuole dire che niente è così grave, nei suoi film prende la vita con leggerezza. Già solo per questo ho voglia di abbracciarla.

 

La forza d’animo di Catherine è la stessa di Danièle. Certo, scrivere, dirigere, montare il film sarà stata una gran fatica, ma fare un film per lei rimane una gioia da condividere con tutti. Talvolta lavorare è sinonimo di stress e angoscia. Con Danièle, tutto si svolge in allegria. Io tendo a separare le cose: da una parte la vita privata, dall’altra il lavoro: per Danièle è tutto comunicante, le porte sono aperte. Amici e parenti passano a fare visita, si va a casa, si cena insieme… E’ così che m’immagino la vita di un’artista. I miei genitori erano contadini, i suoi erano del mestiere: mi piace dire che lo spettacolo fa completamente parte della sua vita. Ha lavorato con suo padre, adesso fa i film con suo figli. Quando Catherine Versen interpreta Feydeau, Danièle riprende un ricordo di sua madre, Jacqueline Roman, che l’ha realmente interpretato al teatro. Per un’attrice è già singolare interpretare il ruolo di un’attrice, ma ancora più interessante è stato incarnare per Danièle il fantasma di sua madre. Si tratta di un passaggio tra generazioni, un tema profondamente caro a Danièle, che ha maturato la su evoluzione da IL TEMPO DELLE MELE (La Boum) passando per PRANZO DI NATALE (La bûche) fino a UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO.

 

 

CLAUDE BRASSEUR

parla di Jacques Grumberg (il collezionista)

 

Il film parla dell’apparente paradosso, molto più frequente di quanto si creda, di aver fallito l’essenziale anche dopo aver raggiunto una posizione invidiabile. Da ragazzo mio padre mi ha portato a cena con un grande uomo d’affari. Ci siamo ritrovati di fronte a un ometto triste, grigio (il primo uomo grigio che vedevo in vita mia) e tornando a casa abbiamo commentato la serata. Ho detto a mio padre:

“ Non mi sembra molto allegro!” E lui mi risponde:“ Perché è un fallito”.

“Come mai? E’ un pezzo grosso, un uomo ricco e potente…”

“Sì, ma dentro di sé è un fallito. Il suo sogno era essere un ministro o un grandissimo produttore cinematografico, e non è nessuno dei due. Per lui, tutto quello che ha non conta.”

 

E’ il tipo di frustrazione che provano i personaggi del film. Quello che incarno io, Jacques Grumberg, è in questo stato d’animo. E’ un grande collezionista, le sue opere valgono una fortuna, ma lui sente la vita scorrere via. La frase-chiave: “Ho cominciato come tassista, non voglio finire come guardiano di un museo”, è per me il vero soggetto del film, trattato attraverso tre personaggi principali e in tre diverse modalità. La parte dell’attrice teatrale (Valérie Lemercier) è comica, quella del pianista (Albert Dupontel) è romantica e idealista, quella del collezionista che io interpreto è più drammatica, perché è in costante tensione con suo figlio e sente che la morte non è lontana. E’ come un concerto con tre solisti. L’ho capito subito leggendo la sceneggiatura: si sente una sinfonia ma poi si distinguono i tre solisti.

Mio padre diceva che non c’è grande attore senza grande ruolo. Quello di Jacques Grumberg è scritto talmente bene che lascia tutte le possibilità ad un attore. Io non credo molto all’istinto dell’artista. E’ forse il 10% del gioco, ci vogliono basi molto solide, lunghe riflessioni. Una volta accettato un ruolo, ammetto che ci rifletto molto. In una sceneggiatura, parto alla ricerca d’indizi che potrebbero raccontarmi o evocare ciò che il personaggio abbia fatto in passato, le ragioni che lo hanno fatto diventare quello che è.

Non a caso ritengo che quello dell’attore sia un lavoraccio. Lavoro tanto, mi sforzo. Paradossalmente direi che mi diverto: mi piace fare le cose in modo serio, ma senza prenderle sul serio. Il che mi avvicina a Danièle…

 

La bravura di Danièle sta nel trattare argomenti molto noti. IL TEMPO DELLE MELE si rifaceva alla situazione che stava vivendo con sua figlia adolescente. La donna Danièle Thompson è alla base della sceneggiatrice Danièle Thompson. UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO è un universo familiare per lei. Conosce gli attori perché anche i suoi genitori lo erano, la storia del pianista è una storia vera, e Danièle ama i quadri. E’ la verità in quello che racconta che dà forza al suo lavoro.

ALBERT DUPONTEL

parla di Jean-François Lefort (il pianista)

Ero molto sorpreso quando mi hanno proposto di interpretare un pianista e ho preso questa proposta come un’opportunità da cogliere. Danièle era convinta che io fossi giusto per il ruolo e io mi sono nascosto dietro il suo desiderio. Come molti altri personaggi del film, Jean-François si trova a una svolta nella sua vita. Il suo successo esterno non è più all’unisono col suo stato d’animo. Nonostante sia adulato, è una personalità profondamente tormentata. E’ un virtuoso che non è contento della sua realtà e visto dall’esterno il suo atteggiamento può sembrare capriccioso ma il film ci fa schierare dalla sua parte, aiutandoci a comprenderlo. Dal mio punto di vista, la sua rivolta è sintomo di saggezza. Percepisce la vanità della sua condizione, non sopporta più la corsa al successo programmata da sua moglie, ha la sensazione che la sua musica non raggiunga veramente il suo scopo e la sua reazione è una sorta di autodifesa.

 

Ho preparato la parte lavorando al pianoforte con François-René Duchâble come modello e lui mi ha fatto da coach durante tutto il film. La storia della crisi di Jean-François, in qualche modo, è anche la sua storia. Credo di ricordare che abbia   addirittura buttato da un elicottero un pianoforte nel lago d’Annecy per simbolizzare la fine della sua carriera in senso tradizionale… Adesso suona in jeans, in camicia rossa, non porta più lo smoking e suona in prigioni e ospizi, come nel film.

L’insoddisfazione è un sentimento ricorrente tra artisti. Si può trasformare in frustrazione, in autodistruzione… oppure spingerli a mettersi in gioco. Può sembrare incomprensibile per il pubblico, ma intellettualmente e psicologicamente è molto fondato… Nel personaggio di Jean-François Lefort c’è soprattutto un uomo che soffre e questo, purtroppo, è universale.

 

Per suonare al pianoforte 14 battute (2 righe) del Concerto n. 5 di Beethoven, ho lavorato umilmente per un mese, ma almeno nel film ci sono alcune sequenze dove suono davvero e ne sono molto fiero. Una delle gioie di questo mestiere è di confrontarsi con degli universi poco o mal conosciuti: in UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO, ho dovuto iniziarmi alla musica classica, suonare davanti a un vero pubblico, diretto da un vero maestro d’orchestra e nella prestigiosa Avenue Montaigne! Danièle ha mostrato di avere molta fiducia in me. La sua forza sta nella perfetta conoscenza di questo universo e la sua sceneggiatura ti trasmette un’emozione che va oltre quel quadro apparentemente austero e freddo. Per me questo film ha anche significato scoprire con meraviglia la generosità delle melodie di Beethoven e Liszt. L’universo della musica classica troppo spesso è una specie di bastione culturale, ma proprio il mio personaggio conferma che la musica, e l’arte in generale, è di tutti e che l’artista deve saperla offrire a tutti.

Danièle Thompson parla di

LAURA MORANTE

nel ruolo di Valentine Lefort (la moglie del pianista)

 

 

“Valentine è un personaggio a doppio taglio. E’ una moglie che ama e ammira sinceramente suo marito. Ma, col pretesto di proteggerlo, arriva a organizzargli la vita nei minimi dettagli, fino al soffocamento. Tiene la sua agenda, organizza le interviste, pianifica negli anni le date dei concerti… Io credo che così facendo, lei protegga soprattutto se stessa. Vive su procura, all’ombra di suo marito. Forse non si rende neanche conto di trattarlo come un bambino.

Laura Morante incarna con rara delicatezza questo personaggio amorevole e distruttivo. Valentine non è facile da amare, ma Laura ci aiuta a provare una certa tenerezza, trasmettendoci la sensazione che l’amore e la paura di perdere tutto si mischiano pericolosamente. La sua fermezza e durezza cedono a una comprensibile confusione nel momento in cui suo marito prende a minare il solido edificio delle sue certezze.

Mentre lavoravo alla sceneggiatura, pensavo per il ruolo di Valentine a un’italiana che somigliasse a Laura Morante, che avesse la stessa bellezza immediata, indiscutibile, con un lato febbrile che sconvolge e che mi ha colpito quando l’ho vista ne LA STANZA DEL FIGLIO. Sono stata fortunata: sul set ho avuto proprio lei.”
DANI

parla di Claudie (la custode del teatro)

 

Ammiro molto le persone che hanno un film in testa e si danno da fare per farlo diventare realtà. E se posso, sono felice di dare il mio contributo.

 

Non ho mai fatto film da protagonista, i miei ruoli sono sempre secondari. Ma quando mi chiamano è proprio me che vogliono. Ho bisogno di avvertire questo: devo sentirmi amata e sicura per potermi abbandonare completamente all’immaginario di qualcuno. E’ quello che è successo con Danièle: nel suo sguardo ho visto che potevo fidarmi pienamente. Sapeva esattamente ciò che voleva – tutto, assolutamente tutto nel personaggio di Claudie viene da lei – voleva veramente che fossi io… perciò non potevo non accettare. Mi voleva rossa e riccia? Va bene! Per lei, mi sono tinta i capelli per la prima volta in vita mia. Ed è stata dura ritrovarmi con quella testa! In compenso, c’era la gioia di corrispondere al desiderio di Danièle e sentire la soddisfazione nel suo sguardo. Quando sto girando, non penso al risultato e la macchina da presa scompare: non resta altro che lo sguardo di Danièle. Se lei è contenta della ripresa, lo sono anch’io. Sono lì per lei e se lei ha voglia di affidarmi una parte, lo prendo come un regalo dal cielo.

 

Claudie occupa un posto strategico: in concierge arrivano la posta, i fiori… e le confidenze dei passanti. Le confidano dei piccoli segreti con la stessa fiducia con cui le affidano le chiavi del teatro. E’ una donna generosa, sa ascoltare e vive da anni all’ombra dei protagonisti dello spettacolo, magari ha avuto delle storie con cantanti famosi… Le loro canzoni si ripetono incessantemente nel suo inseparabile walkman… e quando entra nella sala da concerto e si toglie le cuffiette per sentire la musica del pianista classico,   forse per la prima volta scopre un universo musicale diverso che la travolge. E’ un momento molto forte che ho vissuto con la stessa intensità di Claudie: in maniera sconvolgente.

 

Claudie va in pensione: si prepara a lasciare un mondo, quello degli artisti, che è stato tutta la sua vita. E’ una persona buona che ha scelto di mettersi al servizio degli altri. Il suo appartamento da usciere è aperto a tutti: diventa un rifugio. Jessica (Cécile de France) ci trova un posto per dormire; l’attrice (Valérie Lemercier) ci si rifugia e riposa. E’ una situazione molto vera; per scappare alla pressione intorno a loro, gli artisti cercano dei piccoli luoghi del genere per rigenerarsi.

In Claudie amo il fatto che si può sempre contare su di lei. E’ una donna che non ha nessun pregiudizio sugli artisti. E’ affascinata da quello che fanno e riconoscente per il sogno che le hanno fatto vivere anche solo restando a guardare. Mi sembra il giusto modo di vivere gli artisti.

Questo è un film sugli appuntamenti della vita. L’ambiente artistico è così. Passiamo dieci volte accanto a qualcuno e un giorno, non si sa perché, arriva, succede qualcosa, scoppia la scintilla. L’attrice incontra il grande regista americano, il collezionista ritrova suo figlio, il pianista trova un nuovo pubblico, Jessica (Cécile de France) mette un piede nella vita da adulta… UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO per me è questo: una commedia sugli uomini e le donne che hanno un appuntamento con la vita.

 

 

CHRISTOPHER THOMPSON

parla di Frédéric Grumberg (il figlio del collezionista)

 

Frédéric attraversa un momento cruciale nella sua vita, un momento di particolare sensibilità in cui prende coscienza dei suoi difetti mentre giunge ad una certa maturità. E’ un figlio che nutre una rabbia cieca nei confronti di suo padre. E’ chiaro che tra di loro non c’è mai stato dialogo, anche perché la scomparsa della madre non aiuta a creare un legame. Nei giorni attraversati dal film, anche se in maniera brutale e goffa, i due affrontano una crisi che sfocia in un avvicinamento appagante.

 

E’ un rapporto padre-figlio ma anche un confronto tra due adulti, con tutto quello che ciò comporta in termini di ruvidezza e rivalità. Come dice Jessica, c’è qualcosa tra loro che sa di “combattimento di galli”, soprattutto con le donne che hanno in comune:c’è stata la madre, chi rimane molto presente, ma scopriamo che hanno anche condiviso la stessa amante! Come molte persone, Frédéric, che pure è dotato di molte qualità, si trasforma al cospetto di suo padre. I suo valori vanno in corto circuito. Quello che mi commuove nel personaggio è la presa di coscienza del fatto che il padre, nonostante la sua imponenza e austerità, è alla fine di un ciclo. Il suo problema è come affermare se stesso senza distruggere il padre e in quel momento incontra una giovane donna che in altre circostanze non avrebbe saputo apprezzare. I due momenti si intersecano: solo quando finalmente riesce a stabilire un dialogo con suo padre, Frédéric sarà pronto a vivere una storia d’amore con Jessica.

 

Credo che affinché un personaggio prenda corpo siano necessarie più fasi di scrittura ma anche l’incontro tra l’interpretazione dell’attore e l’idea del regista.

Nel passare dal ruolo di sceneggiatore a quello di attore, mi ha sorpreso la quantità di nuove idee sul personaggio, saltate fuori durante le varie prove. Erano idee completamente diverse da quelle dell’autore, perché quando ti carichi di un ruolo sei assalito da nuovi sentimenti. In questo senso, la lettura delle sceneggiature da parte degli attori ha un carattere assolutamente peculiare. Le sentono.

Danièle e io ci conosciamo sia come madre e figlio che come sceneggiatori, ma girare un film è andare ancora oltre: è farsi guidare. Ho una grande fiducia dell’acutezza del suo sguardo.

 

Danièle Thompson parla di

SYDNEY POLLACK

nel ruolo di Sobinski (il regista americano)

 

“Tutta l’azione di UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO si svolge in Avenue Montaigne; ma chi si può permettere di alloggiare in un albergo di lusso parigino per fare il casting del suo prossimo film? Solo un regista straniero. Ero stata, nel 1986, membro della giura al Festival di Cannes e Sydney Pollack ne era stato presidente. Da allora siamo rimasti amici. E mi sono subito detta che Sydney nel ruolo di Sobinski sarebbe stato formidabile…

Oltre che un formidabile regista, trovo che Sydney sia un attore irresistibile. In passato aveva insegnato corsi di commedia, ma non aveva mai interpretato una parte. Soltanto Dustin Hoffman l’aveva tormentato e era riuscito a convincerlo a interpretare il ruolo del suo impresario in TOOTSIE. Mi ricordo le sue espressioni nel mio film: esterrefatto e sbalordito nella scena “di seduzione” davanti a Valérie Lemercier. Irresistibile.

Averlo, in tutta la sua disinvoltura, davanti alla mia macchina da presa era per me un’occasione troppo ghiotta: Sydney Pollack che fa Sydney Pollack! In UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO, come nella vita reale, parliamo di un regista che ha diretto le più grandi star. E’ naturale che un’attrice francese abbia una voglia matta di lavorare con un regista di tale reputazione. L’unico piccolo problema era che Sydney mi ha detto subito: “Non mi interessa affatto fare Sydney Pollack; se faccio l’attore è per il piacere di essere qualcun altro”…

Allora abbiamo creato Sobinski, famoso regista Hollywoodiano di origini polacche! Il suo nome è preso in prestito da uno dei miei film preferiti, TO BE OR NOT TO BE di Ernst Lubitsch.

 

Valérie Lemercier, che aveva fatto un casting ed era stata scelta per un ruolo secondario in SABRINA, un film che Sydney ha girato in parte a Parigi con Harrison Ford, si è ritrovata a interpretare davanti a lui un’attrice in cerca di una parte.

Come me, anche Valérie è stata affascinata dalla gentilezza e dalla disponibilità di Sydney, che è stato attento e disciplinato al punto da farmi dimenticare che stessi dirigendo un grandioso regista. Mi sono però ricordata che tra i miei attori non c’erano meno di quattro registi: Valérie e Sydney, ma anche Albert Dupontel e Daniel Benoin. Tutti sono riusciti a farmelo dimenticare.”

 

SUZANNE FLON

nel ruolo della nonna di Jessica

 

UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO è dedicato a lei.

Suzanne Flon ci ha lasciati poco dopo le riprese, il 15 giugno 2005, aveva 87 anni.

 

Valérie Lemercier:  

 

“Quando recitavo al Teatro di Parigi, lei recitava nella sala attigua in uno spettacolo di Loleh Bellon e l’ho vista spesso sul palcoscenico. Anche lei è venuta a vedermi e un giorno mi ha raccontato una storia che adoro. Viveva una grande storia d’amore con John Huston e portava una piccola collana di corallo che Marilyn ha visto e trovato molto bella. Suzanne gliel’ha subito regalata. L’indomani, Marilyn le ha fatto portare un collier di diamanti! Si parla sempre della rivalità tra attrici, ma c’è anche l’ammirazione…

Quando si pensa a Suzanne Flon, si pensa subito a una donna molto ritirata, ma sul palco non si risparmiava. Era immensa, amava stupire e si esibiva al massimo. Riempiva i teatri con la sua presenza. Il teatro era la sua vita e Suzanne l’ha vissuto fino in fondo. Mi ha commosso vedere che, anche da malata, davanti alla cinepresa rifioriva.”

 

Claude Brasseur:

 

“Da bambino, mi nascondevo tra le quinte per guardare mio padre sul palco. Come per tutti gli attori della sua generazione, per lui il cinema era un divertimento da vivere con leggerezza, mentre il teatro era una cosa seria. Anche per Suzanne Flon il teatro era la sua ragione di vita. L’ho perciò conosciuta dietro le quinte e sul palco quando recitava con mio padre “La bisbetica domata” nel 1957. Era gentilissima e molto tenera e mi ha trasmesso molto dell’affetto e dell’ammirazione provati per mio padre. Sembrava facessi parte della sua famiglia. Una sera, dopo uno spettacolo, il   suo fidanzato John Huston ci ha raggiunti al ristorante e Su zanne trovava del tutto normale che John bevesse whisky mentre a tavola si serviva il beaujolais. L’indulgenza era una delle sue più alte qualità.

 

Il suo ruolo in UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO è piccolo ma importante. Lancia il film, lo mette in carreggiata, e lei è la migliore. Il suo contributo ha elevato il nostro lavoro da subito, e noi tutti ne abbiamo beneficiato. Alle prove, le battute di Suzanne erano sempre impeccabili, noialtri non potevamo non essere al suo livello!”

 

 

Danièle Thompson:

“Quel personaggio, è completamente il mio contrario.. Lo faccio!” Ecco quello che mi ha detto, due ore dopo aver ricevuto (e letto!) la sceneggiatura,. Il suo personaggio apre il film evocando l’universo di Avenue Montaigne, che fa molto sognare. Quando confida a sua nipote: “Siccome non avevo i mezzi per vivere nel lusso, ho deciso di lavorarci”, il personaggio di Madame Roux dà un messaggio di grintoso ottimismo che è alla base delle dinamiche del film.

Suzanne Flon era per me l’incarnazione di tutte le donne. Non aveva bisogna di essere glamour, era più profonda: era vera. Traspariva dalla sua voce: viva, birichina, entusiasta, come i suoi personaggi negli spettacoli di Loleh Bellon. Sono felice che i suoi begli occhi e il suo sorriso si possano vedere, un’ultima volta, in UN PO’ PER CASO, UN PO’ PER DESIDERIO.”

Filmografie