Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Nicolas Winding Refn, Mary Laws e Polly Stenham
Fotografia: Natasha Braier
Montaggio: Matthe Newman
Scenografie: Elliott Hostetter
Costumi: Erin Benach
Musiche: Cliff Martinez
Suono: Robert Eber
Francia/USA/Danimarca, 2016 – Horror – Durata: 117′
Cast: Elle Fanning, Christina Hendricks, Keanu Reeves, Jena Malone, Abbey Lee, Bella Heathcoate, Alessandro Nivola, Desmond Harrington, Karl Glusman
Uscita: 8 giugno 2016
Distribuzione: Koch Media

Come un’Alice carrolliana, l’ingenua sedicenne Jesse arriva a Los Angeles risoluta a farsi strada come modella. Un indefinibile “Je ne sais quoi” la rende differente da tutte le altre ragazze, e Jesse attira immediatamente l’attenzione di un’agenzia specializzata, che la mette sotto contratto. In contemporanea, conosce la truccatrice Ruby, attratta da lei per motivi non esclusivamente professionali, e le due modelle Sarah e Gigi, le quali la accolgono con glaciale ostilità.

Futile sarebbe rintracciare con l’arida pignoleria del burocrate le fonti del nuovo film di NWR (da Lynch ad Argento, passando per Kubrick), ché oramai qualsiasi influenza è stata ampiamente metabolizzata e portata a nuova vita in una forma inedita e peculiare, divenuta inconfondibile cifra stilistica del regista danese. Il sulfureo NWR prosegue sulla strada impervia già tracciata in Solo Dio perdona (2013) e, tra iconoclastia e humour nero, impagina un poema visivo d’un malsano estetismo, che può rammentare alla lontana alcuni esperimenti postmoderni di Hélèn Cattet e Bruno Forzani, quali Amer (2010) e L’Etrange couleur des larmes de ton corps (2013). Il flusso stregonesco di immagini e musica, le quali sono perennemente avvinte in un abbraccio morboso, compone una sinfonia disturbante sull’ossessione contemporanea per la bellezza, tanto più riuscita quanto più in grado di suscitare polemiche (vedi Cannes).

La favola dark di Jesse è ambientata in una Los Angeles spettrale, fatta di piscine vuote, palme immobili e motel fatiscenti, un po’ come se David Hockney fosse andato ad abitare a Mulholland Drive. Lungi però dal regista qualsiasi considerazione ovvia e moraleggiante sulle insidie dello star-system, che macina corpi ed esistenze come una macchina celibe impazzita. Il fulcro di The Neon Demon risiede altrove, ovvero in una beffarda disamina sull’essenza della bellezza e sulla nostra dipendenza da essa, nonché sul nostro bisogno di esperirla sino alla consunzione. Perché, come chiosò profeticamente Rilke, “il bello non è/ che il tremendo al suo inizio”.

Jesse attrae per la sua luminosa innocenza sia lo stolido corteggiatore/fotografo Dean, il quale però la raffigura in un book promozionale come un’icona sacrificale, che lo stilista/esteta interpretato da Alessandro Nivola, il quale la sceglie per presentare la sua nuova collezione. Ma le figure maschili, compreso l’ambiguo gestore di Motel interpretato da un Keanu Reeves che gioca in contropiede, sono del tutto accessorie, in un universo predatorio tutto al femminile. Ruby, Sarah e Gigi sono quelle che, più di tutti, vogliono appropriarsi della sua bellezza, consumarla sino a obliterarla. Eppure anche l’innocenza di Jesse inizia a vacillare, non appena comincia a rendersi conto della propria influenza sugli altri.

Nicolas Winding Refn procede per epifanie improvvise (il puma nel Motel), simboli polisemici (il triangolo luminoso), depistaggi (Keanu Reeves potrebbe essere un assassino) lasciati cadere con provocatoria noncuranza. Tra morti viventi (la scena di necrofilia) e vivi morenti (le modelle, tanto splendide quanto robotiche), mentre i dialoghi rarefatti lasciano filtrare tra le pause la sensazione costante d’una minaccia inespressa, una Jesse oramai convinta del suo potere si appresta ad incontrare il “Neon Demon” del titolo, quella brama che risiede in ognuno di noi, che ci spinge ad anelare costantemente alla bellezza come una falena alla luce, sino a saziarcene e a consumarla.

Il flusso onirico che è The Neon Demon, la cui struttura è, per così dire, strenuamente antinarrativa, non potrebbe funzionare altrettanto bene senza la strepitosa colonna sonora di Cliff Martinez, che rinnova la sua proficua collaborazione con NWR. La musica è infatti un legante fondamentale del film, più che nelle precedenti opere del regista. Altrettanto importanti le raggelate scenografie di Elliott Hostetter, la sontuosa fotografia di Natasha Braier e gli elaborati costumi di Erin Benach. Indispensabile, invece, la presenza di Elle Fanning, che con una memorabile interpretazione regala a Jesse una disarmante innocenza che nasconde un’indomita volontà, passibile di condurla sulla soglia della corruzione.

Con The Neon Demon, NWR ci conferma che possiamo considerare l’accattivante Drive una sorta d’incidente di percorso, ma si consiglia di prestare comunque ascolto a una delle voci più libere e provocatorie del cinema contemporaneo, sorvolando con benevolenza sui suoi spassosi accessi di narcisismo e megalomania. “I don’t make movies, I make experiences”, ha detto il nostro in conferenza stampa. E, forse, è davvero così.

Voto: 7

VC (NP)