Scheda film
Titolo originale: Trois souvenirs de ma jeunesse
Regia: Arnaud Desplechin
Sceneggiatura: Arnaud Desplechin, Julie Peyr e Nicolas Saada
Fotografia: Irina Lubtchansky

Montaggio: Irina Lubtchansky
Scenografie: Toma Baqueni
Costumi: Lucie Maggiar
Musiche: Grégoire Hetzel e Mike Kourtzer

Suono: Nicolas Cantin
Francia, 2015 – Drammatico – Durata: 123′
Cast: Quentin Dolmaire, Lou Roy-Lecollinet, Mathieu Amalric, Dinara Drukarova, Cecile Garcia-Fogel, Françoise Lebrun, Olivier Rabourdin
Uscita: 22 giugno 2016
Distribuzione: BIM

Sale: 5

Trois souvenirs de ma jeunesse, d’amore e di memoria, il (nuovo) romanzo di formazione di Arnaud Desplechin

“Je me souviens”, io mi ricordo, io mi ricordo, io mi ricordo. Gocce nel flusso del passato-futuro, tra la provincia patria schizofrenica e la Russia del regime. Ritratto dell’artista da giovane in tre capitoli, per capitolare dinanzi l’oblio dolcemente agro della rimembranza, tra leopardiana languida disperazione e joyciana eterna ricerca. Giovinezza, cosmopolis anarchica, geometricamente incernierata dai costumi borghesi. Giovinezza unico terreno del peccato gioioso e della sconfitta fruttuosa. Giovinezza tradimento aggressione esaltazione. Giovinezza prologo dell’espiante futuro. La morte paziente e angusta sulle scale, la fratellanza tenera di rosari pistole e consigli, i seni acerbi di un’amazzone imprendibile, l’università della strada lastricata di cazzotti e ammantata di erotismi ai bordi di panchine, l’università dei dialoghi infiniti e delle filosofie spicciole di mutui inganni.
Con il suo Paul Dédalus, per vie trasversali il regista Arnaud Desplechin, torna al racconto di formazione, adulto e pastoso, interpretato da un risolutivo cast, in I miei giorni più belli (tit. originale Trois souvenirs de ma jeunesse). Con Mathieu Amalric nei panni maturi di Paul, antropologo francese di fama e fortuna, che bloccato dalla polizia aeroportuale di ritorno dal Tagikistan, viene sottoposto ad interrogatorio/confessione agostiniana da un bonario quanto altero funzionario dei servizi segreti esteri francesi. E’ il momento in cui l’occhio di bue sulla gioventù (letteralmente) perduta di Paul si (ri)apre, a rebour, rintracciando tre souvenir. Paul deve giustificare l’esistenza di un suo perfetto doppio identitario, un ebreo russo con i suoi medesimi dati anagrafici, dapprima rifugato in Israele poi morto in Australia. Dettaglio assurdo quindi scatenante, dell’incontro con l’agente, certo, ma soprattutto della narrazione appassionata perché inaspettatamente necessaria dell’infanzia, fino ai vent’anni di studio e d’amore tempestoso del piccolo grande Paul. Dal suicidio della madre, agli anni con il padre rigido e devastato, dall’affetto per la zia lesbica all’incontro illuminante con la professoressa Behanzin, ennesimo sostituto materno. Dall’avventura in terra straniera per una causa politica imberbe, ai primi approcci sessuali fino al sentimento lacerante e mai confuso seppure deragliato e infine sottratto per la volitiva Esther.
Giovinezza che si fugge, tuttavia è già domani. Desplechin suona il suo oromogio, l’orologio delle ore tristi coniato da Joyce nel suo metalinguistico quasi criptico ultimo lavoro, “Finnegans Wake”, e proprio come Joyce, suo nume tutelare accanto a Truffaut, Desplechin sembra perdere l’ordine esatto delle “parole”, chiedendo al fruitore di ricomporre frase dopo frase il racconto, che è già deviazione e derivazione dal precedente suo Comment je me suis disputé…ma vie sexuelle (1996).
Sapere (ove sollecitato) tutte le storie del libro e non ricordare di averlo letto. Così Paul, così Desplechin ci conducono, nel torrente ponderoso del loro film, tra flussi di coscienza, epistole scandite a fior di labbra e occhi alla macchina da presa onnipresente e sempre indiscreta, e sguardi fantasmatici, del Paul che oggi è perché somewhere è stato.
Una quest sulle radici più semplici dell’uomo, una sfilata per snudarsi di quei costumi, tanti, sovrapposti, anzi deposti, dalle età del sé e da quelle della società matrigna. Ritrovandosi tra rimozione e devozione, Paul rievoca null’altro che un magico corposo tempo delle mele, doppio imperfetto dell’autore come di ogni altra creatura occidentale vestita di borghese mezza età. Che nell’angolo, tremante scopre, di saper ricordare, di vivere in quel ricordo, dono di “giovinezza”.

RARO perché…. è un film molto personale di un grande autore

Voto: 7

Sarah Panatta