Scheda film
Regia: Alonso Ruiz Palacios
Sceneggiatura: Alonso Ruiz Palacios e Gibran Portela
Fotografia: Damian Garcia
Montaggio: Yibran Assaud e Ana García
Scenografie: Sandra Cabriada
Costumi: Ingrid Sac
Musiche: Tomás Barreiro
Suono: Isabel Muñoz
Messico, 2014 – Commedia – Durata: 106′ – B/N
Con: Tenoch Huerta, Sebastián Aguirre,Ilse Salas, Leonardo Ortizgris
Uscita: 23 giugno 2016
Distribuzione: Bunker Hill

Sale: 7

Gioventù in B/N per il road movie metafisico dell’esordiente messicano Alonso Ruizpalacios

Un secchio, un trillo, un pianto, un ronzio, un mattone. Un terrazzo, una scala, un alveare, una macchina. Tre uomini, una pasionaria, una musicassetta. Una canzone. Essere giovani e non essere rivoluzionari: una contraddizione. Questo si chiede, afferma, canta la fonetica dei cromatismi, la sospensione degli spazi, il nevrotismo dei sensi di Güeros (Miglior Opera Prima alla Berlinale 2014), primo lungometraggio di fiction del messicano Alonso Ruizpalacios, già autore di premiati cortometraggi, tra cui Cafè Paraiso.
Un film sulla fuga? Un film sul fallimento di una generazione? Un film sulla ricerca di sé (ad es. attraverso la sparizione dell’ex fantomatico rockettaro Epigmenio Cruz)? Messico, fine anni ’90, gioventù in protesta, democrazia discussa, università occupata, gioventù crumira, gioventù bruciata, bande di strada, famiglie distratte, miseria di cemento, scheletri di gioventù impossibile. In mezzo, a trafiggere la livida dispersione di un intero cosmo, Fede e i suoi, con la loro noia e insieme con la loro ostinazione, gruppo sparuto di romantici antieroi senza meta apparente, studenti, perdi giorno, ribelli per nuove anarchie dell’amore. Male di vivere e dubbi ontologici, materiale tipico per un road movie giovanile, che esce parallelamente al diversissimo seppur altrettanto torrenziale I miei giorni più belli del francese Arnaud Desplechin, Güeros intona le cacofonie della rabbia appunto “giovane”, tra ansie movimentiste, viaggi solitari, attacchi di panico, proteste al sapore di cipolle, telefoni senza fili e tigri in agguato sull’uscio dell’irrequietezza, prima di un bacio.
Tomas, dopo aver esasperato con i suoi giochi esasperati sua madre, va a stare col fratello universitario Fede e l’amico altrettanto spiantato Santos, in un palazzo-maceria dove manca la luce e non sembra esistere dimensione temporale che puntelli la degradazione statica di quell’isola senza memoria. In una Città del Messico che si estende maestosamente degradata, postapocalittica enclave di visi pallidi/meticci/malaticci (gueros) e indigeni ibridi a loro volta, i tre vanno a caccia delle vestigia del proprio passato (nazionale), un vecchio rocker malato di cirrosi epatica che forse non ricorda neppure se stesso, o preferisce non farlo. Sulla strada incontrano ragazzi di vita, giardini urbani, traffico oltre umano. Nella città universitaria arroventata recuperano Ana, che conduce radio Contrabando e tenta di smuovere le coscienze proletarie e quelle borghesi verso un utopico afflato comune. Come Desplechin, Ruiz Palacios guarda alla modernità pallida, con le sue opalescenze b/n, tra Truffaut, Jarmush, Spike Lee, compulsivo e magmatico, digitando un poema di suoni per immagini e viceversa, nella rarefatta violenta incantata civiltà nel Messico nuovo, tra ipocrisie decrepite e invincibili, monumenti sbeccati ed energie vanificate. E rompe il velo d’asfissia col sorriso dei suoi protagonisti, pedine e insieme guide di un tragitto catartico e metafilmico, dove anche un ciak in campo emerge palese a dettare la mancaza di regole in un mondo e in un’opera che è frammento di frammenti, momento, di irrevocabile imprendibile gioventù.
Terrazzo, palloncino, bambino. Telefono, colazione, radio. Canzone. Güeros.

RARO perché… è un piccolo, prezioso film.

Voto: 7

Sarah Panatta