Scheda film
Titolo originale: Miljeong
(Trad. lett.: L’Età delle ombre)
Regia: Kim Jee-woon
Sceneggiatura: Lee Ji-min e Park Jong-dae
Fotografia: Kim Ji-yong
Montaggio: Yang Jin-mo
Scenografie: Cho Hwa-sung
Corea del Sud, 2016 – Drammatico – Durata: 140′
Cast: Song Kang-ho, Gong Yoo, Han Ji-min, Park Hee-soon, Um Tae-goo, Shin Sung-rok, Shingo Tsurumi, Park Hee-soon, Seo Young-joo, Han Soo-yeon, Yoo Jae-sang, Lee Byung-hun
Uscita nel paese d’origine: 7 settembre 2016
Terzo film di epoca recente ambientato durante l’occupazione nipponica dopo The Handmaiden (2016) di Park Chan-wook e Assassination (2015) di Choi Dong-hoon, The Age of Shadows segna il ritorno in grande stile di Kim Jee-woon dopo l’infelice parentesi americana di The Last Stand (2013). Rispetto all’irridente ironia di Park o al mélò con nervature da spaghetti-western di Choi, Kim si affida a un découpage classico, abdicando in parte alle folgoranti intuizioni visive cui il suo cinema ci aveva abituato. La struttura di The Age of Shadows appare difatti quella di una “spy-story” tradizionale, la quale eredita toni, atmosfere e qualche inquadratura dal melvilliano L’armée des ombres (1969), senza negarsi alcuni riferimenti al cinema della ormai estinta “Nuova Hollywood”, da Coppola a De Palma.
L’estrema libertà espressiva di Kim Jee-woon sembra scivolare in secondo piano, ma non sino al punto di clonare i suoi predecessori. A differenza di Spielberg, che con Il ponte delle spie compie un’operazione consimile realizzando, sia pure con maestria, un esempio da manuale di quello che Truffaut avrebbe definito “le cinéma de papa”, Kim si concede ampi margini di manovra. E basti pensare alla sequenza iniziale, il cui composto classicismo viene sfregiato da un alluce strappato, per rendersi conto che il regista non ha perso il gusto di disegnare, come Duchamp, i baffi alla Gioconda.
La sceneggiatura di Lee Ji-min e Park Jong-dae prende spunto da un attentato verificatosi nel 1923 a una stazione di polizia di Seoul, portato a termine da un membro degli “Euiyeoldan”, gruppo di orientamento radicale con basi a Shanghai e a Pechino, che fu creato nel 1919 dopo che i giapponesi ebbero spazzato via brutalmente il Movimento del 1° marzo. Il capitano Lee Jung-chool, uomo senza qualità pronto a piegarsi seguendo la direzione del vento, viene incaricato dal ministro Higashi di individuare alcuni membri della resistenza, i quali tentano di vendere opere d’arte contraffatte allo scopo di acquistare esplosivi a Shanghai. La fedeltà di Lee, di etnia coreana, viene però messa in dubbio dai suoi superiori, i quali gli affiancano nell’indagine il capitano Hashimoto, cui affidano il compito di sorvegliarlo. Song Kang-ho tratteggia da par suo un personaggio in bilico tra la necessità di sopravvivere (“I coreani hanno solo due scelte: obbedire ai giapponesi o morire”) e l’intima comprensione delle ragioni dei suoi compatrioti, il quale intraprenderà un sofferto cammino che lo porterà a passare da “cane da guardia dei giapponesi” ad agente segreto (tale il titolo originale) della resistenza.
Kim Jee-woon architetta una sequenza da antologia per spasmodica tensione, quella del treno su cui si trovano a convivere inseguitori e inseguiti, che di The Age of Shadows diventa fulcro e baricentro, marcando il cambio di campo del protagonista. Il regista rincara in seguito la dose con uno “showdown” spettacolare alla stazione di Seoul, durante il quale è impossibile non rammentare gli scontri a fuoco nelle stazioni ferroviarie tanto amate da Brian De Palma, da Gli intoccabili a Carlito’s Way; ma il combattimento tra gli uomini della kempeitai e gli agenti della resistenza è un caos assecondato da repentine conflagrazioni di violenza, e la messa in scena di Kim ha ben poco della millimetrica costruzione, della geometrica inevitabilità delle sequenze imbastite dal regista americano.
La fotografia di Kim Ji-yong annega nell’ombra le sontuose scenografie di Cho Hwa-sung, le stesse ombre che hanno inghiottito una nazione intera, e che avvolgono come un manto doppi giochi e tradimenti, tenebre che verranno lacerate nel prefinale, dove Kim Jee-woon azzarda un utilizzo davvero esplosivo del “Bolero” di Ravel. Ma si tratta di una vampata ben presto soffocata, dato che per liberare la Corea si dovette attendere l’intervento delle potenze straniere che costrinsero il Giappone alla resa nel 1945.
Oltre a un monumentale Song Kang-ho, si apprezzano il Gong Yoo di Train to Busan nel ruolo di Kim Woo-jin, antiquario prestato alla resistenza, e un cameo di Lee Byung-hun, fascinoso e persuasivo come un Che Guevara ante litteram, mentre rimane debole il trattamento dei personaggi femminili, e la Yeon Gye-soon di Han Ji-min è poco più di un ectoplasma evanescente.
Prima produzione coreana della Warner Bros., The Age of Shadows non riserva certo le sorprese di I Saw the Devil o Bittersweet Life, ma compensa il suo deficit d’innovazione con l’adamantina classicità dell’insieme.
RARISSIMO perché… potrebbe non essere un film per tutti.
Note: il film NON è MAI uscito in sala da noi.
Voto: 7
Nicola Picchi