Scheda film
Rregia: William Oldroyd
Soggetto: dal racconto di Nikolaj Leskov
Sceneggiatura: Alice Birch
Fotografia: Ari Wegner
Montaggio: Nick Emerson
Scenografie: Jacqueline Abrahams
Costumi Holly Waddington
Musiche: Dan Jones
G.B., 2016 – Drammatico – Durata: 89′
Ccon Florence Pugh, Cosmo Jarvis, Paul Hilton, Naomi Ackie, Christopher Fairbank
Uscita 15 giugno 2017
Distribuzione: Teodora Film

Dal teatro al romanzo al cinema, l’ immortale e sempre nuova Lady Macbeth

L’Inghilterra vittoriana, claustrofobica e chiusa fra ombre e silenzi, ospita gli intrighi di Lady Macbeth in una rivisitazione del racconto di Nikolaj Leskov (“Lady Macbeth del distretto di Mcensk”), già messo in musica da Šostakovič e censurato dal regime sovietico a due anni dalla trionfale prima del 1934. “Caos anziché musica”, disse Stalin, e tanto bastò.
Ma la nostra Lady colpisce ancora, di lei conosciamo il nome, Katherine, e continua a seminare morte e distruzione.
Dunque cosa la muove a tanto? Sete di potere? Disprezzo per il marito debole? Frustrazione di donna vilipesa e ignorata?
Cerchiamo di capire se questa Lady di William Oldroyd, interpretata da una splendida, glaciale ma spesso anche ironica Florence Pugh, continui ad adattarsi al suo modello o se, almeno questa volta, qualcosa di diverso si sia riusciti a raccontare. Partiamo dalla forma circolare del racconto, dal matrimonio alla maternità.
Prima scena: lei, diciassettenne, è inquadrata da più lati ma sempre in primo piano.
Vediamo solo il suo volto, il capo velato, gli occhi che guardano veloci lo sposo, un’ombra alla sua destra. Alle sue spalle pochi presenti fra le cupe ombre della cappella. Katherine è stata “comprata”, preciserà il suocero più avanti, dovrebbe sbrigarsi a far figli ma lo sposo preferisce altro piuttosto che ingravidarla.
Ultima scena: lei seduta sull’ampio divano, l’abito di seta blu che le fa ruota intorno, immobile, maestosa, sguardo in macchina e mani sul grembo. Posa tipica delle puerpere, spontaneamente protettiva del nascituro.
Fra questi due punti si dipana il cerchio. Oldroyd alla sua opera prima cinematografica, ma con una solida esperienza teatrale, conosce bene l’arte del comunicare, tutti i codici del linguaggio teatral/cinematografico sono messi in gioco, non trascurando i segni topici delle arti visive nella cura minuziosa degli sfondi, disposizione dei corpi sulla scena, distribuzione dei piani, sapiente accostamento di campi lunghi, panoramiche e primi piani.
Ne risulta un affresco composito che racconta una storia con la necessaria sintesi, ne suggerisce i risvolti tragici, sviluppa una riflessione intensa su fatti di costume, stili di vita, retaggi ancestrali e aspirazioni frustrate verso un mondo nuovo.
Katherine non è la nota Lady sanguinaria e pentita senza redenzione, è una giovane donna che vuole amore, se lo procura con ferrea determinazione, lo difende fino all’ultimo ed esce vittoriosa.
Sola ma vittoriosa. Lungo questa strada il delitto sembra una tappa necessaria, anzi lo è, ma non ce la rende odiosa, non ha scelta e, soprattutto, non ha torto.
Non c’è l’ipocrita convinzione che il delitto susciti pentimento in questo bel film di Oldroyd. Non c’è colpa, c’è solo affermazione del proprio diritto a vivere.
Katherine ripresa così, diretta e serena, immobile e protettiva, su quel divano, dice tutto quel che va detto sulla necessità di non cedere a nulla. Salvare l’uomo, quello che nascerà, è ciò che conta, quel che è stato è stato.

Voto: 8

Paola Di Giuseppe