Scheda film
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Christopher Nolan
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: Lee Smith
Scenografie: Nathan Crowley
Costumi: Jeffrey Kurland
Musiche: Hans Zimmer
Suono: Mark Weingarten
G.B./Olanda/Francia/USA, 2017 – Guerra – Durata: 106′
Cast: Fionn Whitehead, Barry Keoghan, Mark Rylance, Damien Bonnard, Aneurin Barnard, Lee Armstrong, James Bloor
Uscita: 31 agosto 2017
Distribuzione: Warner Bros
“Il patriottismo è, fondamentalmente, la convinzione che un particolare paese è il migliore del mondo perché ci siete nati.” (George Bernard Shaw)
Che Christopher Nolan avesse sempre puntato a un conservatorismo militante, durante la sua ascesa tra i registi più quotati di Hollywood, non è certo un mistero. Già con Interstellar la traccia passatista risulta quanto mai evidente nei contenuti, accompagnati da una magniloquente messa in scena e dall’uso del contenente fisico, tangibile, della pellicola nel suo massimo splendore tecnico, il 70 millimetri IMAX.
L’operazione però portata avanti con Dunkirk supera anche le più estreme e radicali aspettative conservazioniste di ogni cinefilo che collega il cinema a un determinato periodo storico, e che rifugge con diffidenza l’avanzata del nuovo, in riferimento in questo caso sia al supporto digitale, ma sia anche ai contenuti.
Dunkirk è un film di guerra, e come tale porta dietro di sé una serie di opere precedenti che lungo tutta la storia del cinema hanno cercato di spostare sempre in avanti il discorso basico della scissione tra buoni e cattivi, rendendo sempre più sottile quella barricata che divide due fazioni. In grandi film come Apocalypse Now, Full Metal Jacket, Flags of our Fathers, Lettere da Iwo Jima l’idea di cineasti come Coppola, Kubrick e Eastwood era quella di varcare idealmente la soglia delle linee così dette nemiche, provando ad abolire questa differenza di genere e regalando un’immagine della guerra realistica, che riesce ad andare oltre gli slogan di propaganda, e mettendosi in forte contrapposizione con film invece assolutamente parziali per il loro punto di osservazione, come Top Gun, Salvate il Soldato Ryan e molti altri, purtroppo.
In Dunkirk Nolan riesce a essere ancora più reazionario e retrogrado, totalizzando la sua osservazione e dedicandola non solo esclusivamente alle linee inglesi (anche perché se fosse solo questo non sarebbe molto diverso da altri film di guerra prettamente massimalisti) ma rendendo assolutamente invisibili i nemici, e facendo passare per poco più di bambini incapaci gli alleati. Inoltre i dialoghi puntano, con un climax progressivo ma spietato, a un tifo pesante e infantile, giustificando la morte e oggettivando le vite dei soldati tedeschi, rendendoli a pieno titolo delle vite non degne di lutto perché mai mostrate, o comunque perché facenti parte di un’altra fazione, di un altro mondo, di un’altra scala di valori.
Riportando la narrazione cinematografica a un basico “arrivano i nostri” Nolan non fa altro che compiere un passo indietro di più di cinquant’anni rispetto al discorso bellico messo in scena sul grande schermo, andando a riprendere, per lo meno contenutisticamente, il cinema classico di Lean, e per certi versi addirittura le soggettive e puristicamente occidentali visioni del mondo alla Ford o addirittura alla Griffith, pur essendo un regista del ventunesimo secolo.
Quello che non è molto chiaro è se questo istinto sia dovuto a un’intenzione ben precisa o piuttosto a un accantonare la sceneggiatura in un angolo, in favore di un “ars tecnica” che il regista inglese ha sempre prediletto. Se infatti Dunkirk è assolutamente claudicante dal punto di vista del racconto, la sua messa in scena è assolutamente perfetta, ammesso che il termine perfezione abbia mai avuto un senso se relazionato a qualcos’altro che perfetto proprio non è. L’immersività dello sguardo porta lo spettatore quasi a un nuovo livello di visione e riesce nel suo intento di affiancarlo ai protagonisti del film.
Forse è proprio per questo che per valutare Dunkirk servirebbero diversi giorni, perché una volta passata l’ammirazione per l’impianto immaginifico dell’opera verrebbero fuori sempre con più evidenza anche le carenze narrative, oltre che sottotestuali. Innanzitutto l’inutile scelta di complicare l’intreccio, senza che la fabula lo richieda: se in Memento la storia viene conformata alla mancanza della memoria, se in The Prestige viene ingannata in un gioco di magia (che è poi il cinema stesso, secondo Nolan) e se in Inception viene destrutturata in un sogno, in Dunkirk la confusione della battaglia non è una giustificazione sufficiente per minare la linearità del racconto, tanto più se l’impianto di messa in scena punta ad un realismo immersivo.
Se dovessimo tirare le fila di questo discorso quindi cosa scopriremmo riguardo l’ultimo lungometraggio di Christopher Nolan? Dunkirk è il film della retorica spicciola, dei punti deboli dettati da una visuale parziale, a tal punto da diventare retrograda e reazionaria nel suo nazionalismo imperialista; è un film dei buoni e dei cattivi, dicotomia che non dovrebbe essere parte integrante di un’opera che si propone come innovativa e moderna, e il fatto stesso che proprio questa grave criticità sia passata per lo più sotto silenzio, all’interno delle ormai numerose recensioni che si è avuto modo di leggere, la dice molto lunga sullo stato del punto di vista collettivo che avvolge l’intellighenzia occidentale; ma Dunkirk è anche il film della fotografia e della messa in scena impeccabili, che tuttavia da sole non bastano a rendere l’ultimo lavoro scritto e diretto da questo nuovo Generale Custer della celluloide, un film degno di essere chiamato tale.
Voto: 4
Mario Blaconà