Scheda film
Titolo originale: The history of love
Regia: Radu Mihaileanu
Soggetto: dal romanzo omonimo di Nicole Krauss
Sceneggiatura: Radu Mihaileanu e Marcia Romano
Fotografia: Laurent Dailland
Montaggio: Ludo Troch
Scenografie: Christian Niculescu
Costumi: Viorica Petrovici
Musiche: Armand Amar
Suono: Jean-Paul Mugel
Francia/Canada/Romania/USA, 2016 – Dramamtico – Durata: 134′
Cast: Gemma Aterton, Elliott Gould, Derek Jacobi, Sophie Nélisse, Torri Higginson, Corneliu Ulici, Alex Ozerov
Uscita: 31 agosto 2017
Distribuzione: BIM Distribuzione
La storia di tutte le storie
L’inizio non è dei migliori, con qualche trucco da montaggio elettronico all’apparenza gratuito e con una voce narrante fuori campo che, contrariamente a tutti i consigli che vengono impartiti agli sceneggiatori in erba in caso di trasposizioni da carta stampata a pellicola impressionata, legge quello che verosimilmente è l’inizio del libro. In un mirabile gioco di specchi l’incipit è sì quello di un libro, ma di quello che sarà protagonista del film (e del libro da cui è tratto): La storia dell’amore. E quella “storia”, fuori dal gioco di parole italiano, è proprio quella con la “S” maiuscola: non “una” storia (story) d’amore, ma il “Racconto” (History) dell’amore.
Ebbene sì, “La storia dell’amore”, oltre al libro di Nicole Krauss da cui Radu Mihaileanu ha tratto la sua ultima pellicola è anche una sorta di “Necronomicon” o di “Re in giallo”, ossia uno di quei tomi inventati che hanno solo vita nella finzione letteraria e cinematografica. E se nel testo originale il gioco funzionava bene, restando nello stesso ambito (letterario), anche sullo schermo il meccanismo, grazie all’abilità del regista, procede egregiamente.
Appena il racconto parte, più o meno ai giorni nostri, nel 2006, le cose vanno meglio – tutto avrà poi più o meno un senso – e facciamo la conoscenza con Leo Durski (Derek Jacobi), uno scorbutico anziano che passa il suo tempo a litigare con l’amico d’infanzia Bruno Leibovitch (Elliott Gould), suo vicino di casa. La storia di Leo parte da molto lontano, da quell’incipit letterario scritto circa sessant’anni prima, quando era innamorato di Alma Mereminski (una bellissima e bravissima Gemma Aterton), quando lei partì per salvarsi alla volta dell’America ed i due si separarono, senza saperlo, per sempre. Mentre dal passato folto ed intricato di Leo emergono tasselli narrativi attraverso continui flashback che intrecciano diversi livelli temporali, facciamo la conoscenza di un’altra Alma, Singer (Sophie Nélisse, vista in Storia di una ladra di libri), anche lei ebrea, che deve il suo nome alla protagonista di un libro, “La historia del amor” di un tale Zvi Litvinoff, libro che ora alla di lei madre un misterioso personaggio chiede di tradurre dallo spagnolo in inglese. È chiaro, come apprenderà presto lo spettatore, che tra i due, la piccola Alma e l’anziano Leo, ci sia un legame piuttosto intenso, che ha attraversato i decenni. Un legame fatto d’amore, di malattia, di lettere non scritte, di amicizie tradite, di segreti non rivelati né rivelandi, di morte e di destino avverso. E qua ci fermiamo per non togliere le sorprese e le emozioni della narrazione a chi vorrà avventurarsi in sala.
Pur considerando personalmente cinema e letteratura due realtà ben distinte, non possiamo che ammirare il grande lavoro fatto dal regista de Il concerto per portare sullo schermo questo romanzo che gioca tantissimo nell’ambito letterario con trame, sotto-trame e personaggi. Possiamo solo rimproverare a Mihaileanu, qui al suo primo film “americano”, qualche manierismo di troppo, così come la tentazione di cedere un po’ spesso al digital editing, con soluzioni discutibili, ed alcuni passaggi un po’ troppo veloci, approssimativi e superficiali, come nella trattazione del personaggio di Zvi e nel finale, anche se qui la questione veniva risolta abbastanza sbrigativamente anche nel testo originale della Krauss, mentre Mihaileanu decide di allontanare volutamente la macchina da presa, quasi a sospendere il giudizio, come se lo scioglimento finale, lasciato all’intuizione dello spettatore, fosse una sorta di “MacGuffin” a salve.
La storia dell’amore affronta ancora temi molto alti come la Storia (e quindi la guerra ed il nazismo, l’essere Ebrei oggi ed allora), la creazione letteraria ed altri attuali quali l’immigrazione ed altri ancora eterni come l’amore e l’amicizia. E lo fa puntando spesso sinceramente al cuore, sul doppio binario di presente e passato, sfogliando i petali di due esistenze legate assieme da tanti elementi in comune che le rendono parallele, così come solo un grande narratore, sia esso scrittore o regista, può fare.
La pellicola avrebbe dovuto poggiare per buona parte sulle mastodontiche spalle di John Hurt, il quale dovette rinunciare alla parte di Leo Durski anziano poiché gli era appena stato diagnosticato il cancro al pancreas che ci avrebbe privato per sempre del suo talento artistico. Poggia invece sulle spalle, non da meno, del connazionale Derek Jacobi, che regala qui una delle sue migliori performance, sia da solo, sia in duetto con un’invecchiata Gemma Aterton – complimenti al reparto trucco! – sia con un altro mostro sacro come Elliott Gould.
La storia dell’amore è un film con tanta carne al fuoco, al quale però si perdonano anche momenti banali o “veloci”, poiché riesce ad emozionare sinceramente, stemperando spesso la commozione con l'(auto)ironia di cui sono permeati molti personaggi, da Leo ad Alma jr., dal Bruno anziano al piccolo Bird: quell’umorismo ebraico che permette a tutti loro di scegliere in ogni momento della narrazione se vivere o sopravvivere in un mondo in guerra, restando costantemente in bilico. Quello stesso umorismo che ha permesso ai sopravvissuti all’Olocausto di vivere.
Voto: 7
Paolo Dallimonti