– un documentario di Michele Capozzi –
È con vivo piacere che CentralDoCinema propone in anteprima assoluta le prime impressioni critiche relative all’ultimo documentario di Michele Capozzi,Pornology New York: a tutt’oggi, il film aspetta ancora una presentazione pubblica (anche quella prevista entro dicembre per “Genova 2004, Città della cultura europea” è purtroppo saltata) e una conseguente distribuzione, tanto che Michele sta iniziando a farlo conoscere, e a ricevere i primi importanti giudizi, tramite proiezioni private organizzate per amici, critici, esperti del settore, curiosi e interessati. È il mio caso, per esempio: un sabato romano dicembrino, con la solitudine dei giorni (pre)festivi spezzata dalla irrefrenabile compagnia di Michele, passato fra tentativi di ricerca di vecchie “osterie per camionisti”, infiniti arzigogoli automobilistici, bizzarre gallerie d’arte, amiche depresse e culminato con la visione del documentario in una delle tante case di amici da cui si fa ospitare nel suo giramondare.
Diciamolo subito: il documentario farà grande difficoltà a trovare uno spazio di risonanza pubblica, e non certo perché non ha le qualità dell’opera artistica o perché lascia il tempo che trova. Del resto, purtroppo, Michele ci potrebbe essere abituato: già il prezioso annuario del cinema hard italiano da lui curato qualche anno fa finì nel mercato della distribuzione pornografica, destinato al dimenticatoio o al recupero quasi clandestino.
Anche il destino del documentario – in teoria primo di una serie (Pornology Los Angeles, …) che Michele sta tentando di far accettare a Berlino o in altri importanti festival – potrebbe confermare alcune convinzioni dell’autore: ancora oggi, 2004 terzo millennio dopo Cristo, il sesso – parola ancora prima di immagine – incute un certo timore, provoca fastidi e perplessità morali, porta a galla rimossi ideologici, rende manifesto tutto il cancro conservatore di tradizioni millenarie; e questo, in linea pressoché generale, in tutto il mondo.
Invece, lo sguardo di Michele e il suo afflato crudo ma poetico meriterebbero maggiore rispetto e la degna attenzione (già Valerio Caprara, per tacere di molti altri, si sperticava, nelle pagine del “Mattino”, in elogi diretti alla persona di Capozzi e al suo lavoro).
Pornology New York è dunque un film-documento, una testimonianza, un “look” per usare le parole di Michele, su un’epoca gloriosa che non esiste più e sulla città che l’ha ospitata: New York, appunto. Senza piagnistei nostalgici ma con una vena di autentica malinconia, lo sguardo dell’autore racconta l’universo del porno underground a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 (gli anni della cosidetta ‘Golden Age’ del porno) attraverso gli occhi di tre protagonisti di allora, oggi relitti umani e urbani ancora pieni di vitalità e di stupore disperato nei confronti di una società che è cambiata forse più velocemente (di sicuro più radicalmente) di quanto loro stessi, al tempo, si auspicavano: Neville Chambers e la sua ‘Fuck Factory’, Lenny Waller e lo ‘Hell Fire’, Porsche Lynn e il suo ‘Den of Iniquity’. Michele mostra i malumori di un mondo ‘altro’, l’underbelly conosciuto e imparato ad apprezzare fin dai tempi universitari dei carrugi genovesi, in maniera schietta e acerba (come un Ferrara prima maniera, verrebbe quasi da dire), non cercando la consolazione o il fatalismo vittimista ma mettendosi, semmai, in gioco egli stesso (come nelle sequenze del bondage sadomaso con masturbazione annessa), quasi a voler condividere in toto lo spirito dei suoi “free spirits”, dei suoi antieroi.
C’è, infatti, un che di compiaciuto forse, così come qualche atto di tenerezza eccessiva o barlumi di una diffusa ambiguità interpretativa, ma del resto credo che per l’autore, visto il coinvolgimento personale (per temi così sentiti poi), sia stato veramente difficile mantenere un tono di assoluta e costante obiettività. E forse Michele nemmeno ci avrà tenuto a questa aura professionalizzante che la fredda oggettività implica di per sé. Forse proprio no, visto che la visione del documentario lascia tutt’altro che indenni a livello emotivo (anche per chi, come il sottoscritto, era ed è praticamente del tutto estraneo al soggetto della rappresentazione): quello che emerge, infatti, è una visione laicamente cupa, luttuosa, assolutamente tragica non tanto per ciò che non c’è più ma per quello che tristemente è rimasto e, eventualmente, per quello che avrebbe potuto esserci. Michele sa prendere le corde dello spettatore e sa scuoterle, sia a livello mentale che fisico: si veda, per credere, la sequenza di bondage sadomaso fra Lenny Waller e la sua compagna, un vero e proprio “coitus interruptus” a mio parere, terribile e quasi insostenibile per insistenza, tacita disperazione ed evidente tenerezza/compassione dello squallore.
Non di meno, l’autore sa far emergere, da questo contesto di morte e solitudine mostrato dall’interno e con compartecipazione affettiva, segnali di vita, pause di filosofia esistenziale, scampoli di salace (auto)ironia come nella coda finale o, soprattutto, nel congresso culinario-erotico dove, mentre Capozzi prepara la sua ormai celeberrima “pasta al porno” (invece che al “forno”), sul tavolo che ospiterà la cena si consuma un’orgia irridente e selvaggia, fra spruzzi di sperma mostrati in plongée dall’alto, montaggi simbolici e ombre inquietanti che gettano una luce sinistra sulla meccanicità di atti sessuali così codificati (il parallelo potrebbe essere la preparazione di una pietanza) e di amori tanto silenziosi quanto assenti.
Gonzo journalist per (auto)definizione, Michele Capozzi insegue e trova la crudezza della verità, la follia del non immaginario, la perversione del reale, rasenta il teorema politico e ci consegna un ritratto indimenticabile di ciò che è stato dimenticato, di ciò che è ignoto, di ciò che dovremmo conoscere se non proprio apprezzare per comprendere a fondo la società in cui viviamo.
Roberto Donati