Scheda film
Titolo originale: Рай
Regia e Soggetto: Andrej Končalovskij
Sceneggiatura: Andrej Končalovskij e Elena Kiseleva
Fotografia: Aleksandr Simonov
Montaggio: Sergey Taraskin e Ekaterina Vesheva
Scenografie: Irina Ochina
Costumi: Dmitriy Andreev e Vladimir Nikiforov
Musiche: Sergey Shustitskiy
Russia/Germania, 2016 – Drammatico – Durata: 130′ – B/N
Cast: Peter Kurt, Yuliya Vysotskaya, Viktor Sukhorukov, Ramona Kuntse-Libonov, Filipp Dyuken, George Lenz, Zhan Denis Romer
Uscita: 25 gennaio 2018
Distribuzione: Viggo
Sale:
“Sor delegato mio nun so’ un bojaccia!”
“Quello che è successo è un avvertimento. Deve essere continuamente ricordato. Come è stato possibile che sia accaduto una volta, così rimane la possibilità che succeda ancora, in qualunque momento. Solo la conoscenza di ciò che fu, può evitare che riaccada.
Sullo sfondo tragico dei campi di concentramento, il motto “ogni vita ha un suo significato”, (Karl Jasper).
Un bianco e nero solenne per un rigoroso formato 4:3. Tre personaggi raccontano le loro vicissitudini. Una donna (Yuliya Vysotskaya:), una nobile russa accusata di spionaggio che finisce in un campo di concentramento per aver salvato a Parigi due bambini ebrei. Un poliziotto francese collaborazionista (Philippe Duquesne) nella Francia di Vichy. Un ufficiale tedesco delle SS (Christian Clauss) nel cui petto pulsano ancora dei sentimenti. Le loro storie e le loro vite si sono intrecciate tragicamente ed altrettanto tragicamente si sono concluse.
Un po’ come in Una pura formalità di Giuseppe Tornatore, ma molto più consapevolmente, i tre protagonisti dopo aver reso l’anima a dio – o a chi per lui – stanno sostenendo un interrogatorio per poter – forse – accedere ad un paradiso (il “paradise” del titolo) molto meno laico di quel “luogo del primato nazista della razza superiore, che deriva dal concetto demografico e razzista di “Superuomo””.
Vincitore del Leone d’argento alla Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2016, premio speciale per la Regia ad Andrej Končalovskij, Paradise scava ancora una volta ad oltre settant’anni di distanza nelle pieghe dell’Olocausto e dell’orrore nazista, ponendoli ad adeguata distanza dallo spettatore: quattro lingue differenti (vade retro doppiaggio!), bianco e nero, formato e difetti audio/visivi appositamente voluti per favorire il taglio documentaristico, personaggi a loro volta estraniati grazie al loro raccontare di fronte ad un interlocutore non indentificato (un dio? Quei posteri ai quali spetta l’ardua sentenza?).
Le immagini che corrono sullo schermo vanno a costituire un autentico atto d’accusa sulle origini del male e sulla possibilità di compiere il bene in certe circostanze storiche e personali.
Pur schematico ed a tratti didascalico, il film dell’ottantenne autore russo è comunque un atto d’accusa ed un memento ancora oggi attuale ed importante, come ha enunciato il filosofo tedesco Karl Jaspers, soprattutto per il sussistere odierno di alcuni nazionalismi emergenti.
Voto: 7
Paolo Dallimonti