Scheda film
Titolo originale: Foxtrot

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Samuel Maoz
Fotografia: Giora Bejach
Montaggio: Arik Leibovitch e Guy Nemesh
Scenografie: Arad Sawat
Costumi: Hila Bargiel
Musiche: Ophir Leibovitch e Amit Poznansky
Suono: Sam Cohen, Ansgar Frerich e Alex Claude
Israele/Germania/Francia, 2017 – Drammatico/Guerra – Durata: 113′
Cast: Lior Ashkenazi, Sarah Adler, Yonatan Shiray, Gefen Barkai, Dekel Adin, Shaul Amir
Uscita: 22 marzo 2018
Distribuzione: Academy Two

Balla con le volpi

A Tel Aviv un gruppo di ufficiali dell’esercito israeliano si presenta alla porta di casa di Michael e Dafna per annunciare loro, la morte, anzi la “caduta” del giovanissimo figlio Jonathan, durante il servizio offerto per la causa della propria patria. La reazione alla drammatica notizia costringe i responsabili dell’esercito, ad imbottire di calmanti la giovane madre del ragazzo e a lasciare al padre, un architetto ricco e borghese, la responsabilità di gestire la notizia con i parenti, nonché organizzare il rientro della salma e il mesto funerale. L’ultimo addio ad un soldato, la silenziosa trenodia per una vita spezzata, le comprensibili lacrime per un incomprensibile conflitto.
Ma proprio quando Michael e Dafna iniziano a fare i conti con i fantasmi del passato, con il dramma del presente e un futuro tutto da ricostruire, arriva una notizia che sconvolgerà ancor più le loro vite, dando il via ad una serie di eventi, di circostanze e casualità, comprensibili solo se considerate come il frutto di una mente superiore. Quello che in molti chiamano “il volere di Dio”.
Ma quale notizia può essere più sconvolgente di “vostro figlio è morto”?
E’ proprio da questo spunto che il regista Samuel Maoz parte per spiegare questo suo nuovo wardramma, dopo il successo internazionale di 8 anni fa con Lebanon, vincitore del Leone d’oro alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, claustrofobica pellicola ambientata in un carro armato che fece il giro del mondo.
Anche questa pellicola del regista di Tel Aviv, ha nuovamente trionfato al Lido di Venezia, conquistando il Leone d’argento, ed è stato anche selezionato per rappresentare Israele ai premi Oscar 2018 nella categoria Oscar al miglior film in lingua straniera.
Ma per parlare di Foxtrot dobbiamo parlare innanzitutto del suo regista.
Maoz a 13 anni ricevette in dono una telecamera che distrusse in mille pezzi nel tentativo di ricreare L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat dei Lumiere, il ragazzino non si arrese e crebbe, divenne un soldato, addestrato come mitragliere, rischiando più volte la sua stessa vita. Quindi completò i suoi studi per diventare anni dopo, uno dei più talentuosi registi israeliani.
Foxtrot trova il suo meglio e il suo peggio proprio nella storia personale di questo autore: da una parte infatti c’è l’urgenza e la sincera necessità di raccontare in maniera lucida e toccante, il dramma della guerra, anche dal lato più propriamente familiare, dall’altra però la pellicola lamenta un regista oltremodo innamorato di se stesso e del suo talento tecnico. Più volte il film indugia in allegoriche inquadrature e autoreferenziali scelte estetiche che fanno trapelare fastidiosamente la sottana del deus ex machina.
Peccati veniali che però nulla tolgono al significato ultimo della pellicola, potente e visiva critica alla violenza della nostra civiltà, un circo felliniano addestrato per stupire lo spettatore, davanti a scene come quella del cammello al check point, metafora tanto della polveriera mediorientale, quanto della surrealtà dell’inevitabile.
Foxtrot è una tragedia greca classica, una parabola filosofica che analizza il concetto di caos organizzato, ma anche la mise-en-scène un po’ vanesia ma profondamente sentita, di un dramma in tre atti in salsa beckettiana che si riavvolge in se stesso, tornado al punto di partenza, esattamente come fanno i passi di quella danza chiamata appunto foxtrot.
Una profonda ed urgente speculazione intellettuale sulla differenza tra le coincidenze casuali e quelle che fanno parte di un ben preciso piano divino. E’ proprio il regista israeliano infatti a ricordarci la celebre citazione di Albert Einstein: “le coincidenze sono il modo che Dio usa quando vuole restare anonimo.”

Voto: 7 e ½

Giuseppe Silipo