Scheda film
Titolo originale: You Were Never Really Here
Regia e Sceneggiatura: Lynne Ramsay
Soggetto: Jonathan Ames
Fotografia: Thomas Townend
Montaggio: Joe Bini
Scenografie: Tim Grimes
Costumi: Malgosia Turzanska
Musiche: Jonny Greenwood
Suono: Drew Kunin e Paul Davies
G.B., 2017 – Thriller/Drammatico – Durata: 95′
Cast: Joaquin Phoenix, Ekaterina Samsonov, John Doman, Judith Roberts, Alex Manette e Alessandro Nivola
Uscita: 1° maggio 2018
Distribuzione: EuroPictures
Taxi Driver 2.0
Joe (Joaquin Phoenix) è stato un figlio maltrattato, poi un militare, ora un killer professionista che viene incaricato di salvare Nina (Ekaterina Samsonov), la figlia preadolescente di un padre ambiguo e tormentato. La ragazzina è vittima di un losco giro di prostituzione minorile, a capo del quale sembra esserci un potente uomo politico.
L’opera quarta della regista scozzese Lynne Ramsey, scende in strada, dopo le meravigliose precedenti opere da camera. L’autrice si sporca le mani e si espone rivisitando Taxi Driver, dal quale attinge tanto nella narrazione, quanto nelle atmosfere.
Ma il disturbo post traumatico del Travis schraderiano, sul quale viene modellato il personaggio di Joe, non è il solo rimando della Ramsey. A beautiful day si nutre anche del post modernismo hyper già visto in Drive di Refn e in altri film del regista danese.
Joe sembra uno degli adolescenti di Ratcatcher (1999) o di …e ora parliamo di Kevin (We Need to Talk About Kevin) (2011), dietro il quale vagabondano ricordi e drammi del passato, tanto quelli del ragazzino seviziato dal padre, quanto quelli del giovane militare che guarda negli occhi di una giovane orientale, l’assurdità malefica dei conflitti bellici.
Spleen elegiaco del personaggio e dell’intera pellicola, la regista riesce a esplicitarlo con brevi e inquieti flashback, a volte solo frame di un passato che tormenta.
Plauso anche all’elemento sonoro extradiegetico, che diventa parte e personaggio del film, interagendo con la narrazione stessa. Jonny Greenwood, polistrumentista e prima chitarra dei Radiohead, è alla seconda collaborazione con la regista scozzese, dopo …e ora parliamo di Kevin. Riscossi i molti consensi, musicando i due capolavori di Paul Thomas Anderson The Master e Vizio di forma, con le immagini della Ramsey, costruisce il suo capolavoro sonoro, concentrasi su ossessive traccie disturbanti in stile Neue Deutsche Welle, che alludono all’elemento figurativo più pulp del film, ossia il martello di Joe. E allora l’Ost diventa una ritmica tribale perforante che spesso riveste il ruolo di fade narrativo. Altre volte invece Greenwood si affida ad una folktronica più “agreable” all’orecchio dello spettatore, ma solo per prepararlo alla violenza incombente di Joe, il malconcio Joaquin Phoenix.
Sovrappeso e livido per le ferite fisiche e psicologiche del suo personaggio, mai sopra le righe, l’attore tira fuori una delle sue interpretazioni più centrate. Un killer crepuscolare che gioca con la madre anziana scimmiottando metacinematograficamente Psycho in uno dei momenti più black comedy del film.
Ma la regina indiscussa di questo sorprendente thriller è senza dubbio la Ramsey, capace di giocare col genere come un bambino col Didò e riuscendo a catapultare lo spettatore in un angusto posto, urbano quanto psicologico, forse quello a cui allude proprio il titolo del film, You were never really here.
Dopo una generazione di figlie e mogli d’arte come la Coppola e la Bigelow, c’è una nuova meravigliosa scena autoriale tutta al femminile, con nomi tipo Julia Ducournau, Ana Lily Amirpour o anche la stessa Greta Gerwig. Alcune resteranno, altre saranno solo una moda passeggera, come il Tamagotchi o il Moscow mule. Lynne Ramsey invece resisterà a tutto, perché la sua filmografia ricorda proprio Joe, un’inarrestabile bestia da macello eppur umana; un esempio perfetto di cinema adulto e muscolare, ma anche inquieto e adolescente.
Voto: 8 e ½
Giuseppe Silipo