Scheda film
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Stella Savino
Fotografia: Alessandro Soetje
Montaggio: Roberta Canepa
Musiche: Walter Fasano
Italia/Germania, 2012 – Documentario – Durata: 76’
Uscita: 26 giugno 2014
Distribuzione: Microcinema
Sale: 6
Come un motore
Se non fosse stato per il Premio della Giuria meritatamente conquistato all’ultima edizione del Festival di Cannes probabilmente, anzi sicuramente visti i precedenti ancora inediti dell’autore, Mommy di Xavier Dolan non avrebbe trovato con la medesima facilità una collocazione nel cartellone italiano della prossima stagione cinematografica. La pellicola scritta e diretta dall’enfant prodige canadese racconta la storia di Steve, un adolescente affetto da ADHD difficile e violento, ma anche quello di sua madre Diane, che dopo la morte improvvisa del marito prova a rifarsi una vita con loro figlio. Ma cos’è l’ADHD? Scientificamente parlando si tratta di un’anormalità neuro-chimica geneticamente determinata legata al deficit dell’attenzione e all’iperattività, molto diffusa nei minorenni, che comprende una serie di espressioni comportamentali riconoscibili: dalla difficoltà a giocare a quella di riuscire a stare fermi o a non interrompere discorsi altrui e a stare in silenzio, dall’irrequietezza alla frequente perdita d’attenzione e alla mancanza di pazienza nell’aspettare il proprio turno.
A chiarirci ancora di più il concetto, spingendo le argomentazioni ben oltre come avremo modo di constatare, arriva in soccorso il documentario di Stella Savino, ADHD – Rush Hour, nelle sale nostrane a partire dal 26 giugno con Microcinema, nell’ambito di “Fuori programma: l’appuntamento d’Autore”, un progetto voluto dalla stessa casa di distribuzione con il patrocinio del MIBACT. La regista napoletana ci conduce in un viaggio tra Europa e Stati Uniti, tra laboratori di genetica e di Brain Imaging, aule universitarie e scuole elementari, per dare forma e sostanza a un vero e proprio dibattito scientifico, che prende corpo intrecciandosi e alternandosi alle voci dei protagonisti, bambini e adolescenti, e dei loro genitori. Il risultato è un approccio duplice alla materia trattata, che mette sul medesimo piatto della bilancia l’esperienza intima e coinvolgente dei diretti interessati e quella indiretta di terzi che alla tematica in questione si sono avvicinati professionalmente. Alle spiegazioni di routine che riguardano sintomi, patologie, effetti collaterali e cure farmacologiche, oltre alla mera casistica e ai freddi numeri, la Savino affianca quel controcampo umano che permette all’opera di creare un collegamento empatico con lo spettatore di turno, quest’ultimo messo nelle condizioni di entrare in contatto con le vicende personali di alcuni intervistati, sottratti di conseguenza al ruolo infelice di cavia da laboratorio.
La regista elude la spettacolarizzazione, preferendo a questa un low profile e trattando i singoli casi con i guanti. Palleggia tra Vecchio e Nuovo Continente per mostrarti che tutto il mondo è paese, che la superficialità di certe diagnosi può indirizzare e determinare il proseguo di un’esistenza indipendentemente dalla latitudine, ma anche che possono esserci dei pro e non solo dei contro quando si ricorre alla cura farmacologica. In tal senso, il film affonda il coltello in una ferita aperta, mettendo a nudo le contraddizioni di certe metodologie e terapie. Cambiando tono, infatti, ADHD – Rush Hour allarga a macchia d’olio lo spettro argomentativo nel momento in cui vira verso la denuncia nei confronti degli interessi e del business delle case farmaceutiche che producono i principali farmaci per la cura (dal Ritalin al Concerta), dei loro costi esorbitanti, ma anche della facilità dimostrata dai medici nel prescriverli. Si passa così da uno sguardo pseudo-scientifico e antropologico al reportage sul campo e all’inchiesta, con le classiche interviste frontali, l’immancabile materiale di repertorio, oltre ad una serie di accattivanti e funzionali contributi grafici, a fare da spina dorsale nella narrazione. Tutto ciò crea un equilibrio tra soggettività e oggettività, che unito alla chiarezza nelle argomentazioni, consente al docu-film di arrivare indistintamente a più fruitori.
Di contro, ossia all’estrema chiarezza e alla pulizia della confezione, emerge un certo didascalismo e un’estetica che risulta più adatta al piccolo piuttosto che al grande schermo. Le soluzioni visive scelte per assemblare il racconto polifonico appaiono poco originali e in linea con quelle generalmente utilizzate nelle produzioni televisive. A questo punto viene da chiedersi: coincidenza oppure strategia rispetto alla scelta di Microcinema di portare in sala l’opera della Savino? A voi l’ardua sentenza. A nostro avviso, levati i suddetti meriti e demeriti espressi dal documentario, un piccolo contributo alla causa distributiva di ADHD – Rush Hour va rintracciato anche nella futura presenza di Mommy nel prossimo palinsesto tricolore. Ciò non toglie però il valore intrinseco del documento soprattutto dal punto di vista informativo, capace di portare all’attenzione della platea, qualsiasi essa sia, un argomento del quale si parla solo di rado.
Voto: 6
Francesco Del Grosso