Scheda film
Regia: Bryan Singer
Soggetto: Anthony McCarten e Peter Morgan
Sceneggiatura: Anthony McCarten
Fotografia: Newton Thomas Sigel
Montaggio e Musiche: John Ottman
Scenografie: Aaron Haye
Costumi: Julian Day
G.B./USA, 2018 – Biografico/Musicale – Durata: 134′
Cast: Rami Malek, Lucy Boynton, Gwilym Lee, Ben Hardy, Joe Mazzello, Aidan Gillen, Allen Leech
Uscita: 29 novembre 2018
Distribuzione: 20th Century Fox
Una carezza in un pugno
Quando come me sei nata nel 1981, vai a vedere Bohemian Rhapsody come atto dovuto: rigorosamente appena uscito, pervasa da un attesa spasmodica, in compagnia di amiche che, in tutti questi anni, si sono cibate dei Queen attraverso i racconti dei fratelli più grandi, delle vhs e dei dvd dei concerti prima e video su YouTube poi. Perche’ quella fame di Freddie Mercury non ti e’ mai passata, perché ti e’ mancato qualcuno che dal vivo non hai mai conosciuto, perché hai voluto bene e hai sofferto per il dolore di una perdita che, come in una storia d’amore appena iniziata, ti ha lasciato sul più bello.
E vai al cinema per ritrovare Freddie Mercury e i Queen ma non li trovi… almeno nella prima parte del film.
Il biopic Bohemian Rhapsody ha numerosi difetti e forse un solo grande pregio: ha cuore.
Il primo tempo, incentrato sulla nascita della band, vede un giovane dai denti oltremodo sporgenti (Rami Malek e’ davvero bruttino con la protesi), Farrokh Bulsara che arrivato in Inghilterra dopo essere scappato da Zanzibar, invece di subire la nuova identità la plasma a sua immagine e somiglianza e “Re”_ inventa se stesso comportandosi come un ragazzo inglese negli anni settanta con il sogno del rock’n’roll. Molto carino l’ incontro con i componenti del gruppo che in un primo momento lo sottovalutano e poi comprendono il fenomeno che hanno per le mani. Se identici nell’aspetto risultano essere gli attori che interpretano Brian May,Roger Taylor e John Deacon, Rami Malek ha un altro sguardo, tanto che per gran parte del film porterà i Ray-Ban per colmare quel gap fisico che lo divide dall’originale.
Il carattere di Freddie Mercury risulta aderente ai racconti fatti dagli amici, ma Malek raggiunge il top nelle performance sul palco dove sfoggia un mimetismo studiato nei dettagli, credibile e travolgente. La parte deficitaria invece e’ la stesura del racconto dalla nascita dei Queen fino all’incisione di “Bohemian Rhapsody”. Anche se la sceneggiatura presenta momenti di puro divertimento e vola leggera, troppi sono i punti in cui sembra che a Freddie basti poggiare gli occhi su in foglio bianco, guardare un panorama o mettersi al piano per pochi istanti per venire trasfigurato da ispirazioni quasi mistiche che lo portano a comporre capolavori.
E non basta la frase che viene messa in bocca a Brian May secondo la quale le canzoni non devono essere spiegate per non perdere mistero a giustificare testi e melodie apparentemente usciti dal nulla e a salvare una scrittura filmica che assomiglia a mille altre sulle band giovanili.
Troppo poco approfondito anche il personaggio di Mary Austin che tanta parte avrà nella vita del frontman dei Queen, che qui viene relegata a ruolo di una non troppo sveglia fidanzata, confidente e amica salvifica, anche se va ammesso che le scene d’amore tra i due sono ben recitate e permeate da un’aura di pura poesia .
Il film poi diventa quasi manieristico nella seconda parte dove viene raccontata la deriva sfrenata e trasgressiva della vita di Freddie: un vorrei ma non posso che rende comiche le famigerate feste nella villa di Garden Lodge e che riduce quasi a macchietta personaggi come Paul Prenter, colui che incarna tutti i problemi e sembra alimentare le perversioni di Mercury fino a portarlo alla scelta solista. Ben girato è invece l’incontro con Jim Hutton, suo ultimo silenzioso compagno di vita.
Il giro di vite al film però arriva con il ritorno di Freddie nei Queen e la scoperta della malattia. Ottima la scelta di non indugiare in un pietismo inutile e stucchevole, facendo invece vedere un uomo che davanti alla malattia e alla deriva della sua vita si sente finalmente vivo e si lascia alle spalle il ragazzo insicuro di Zanzibar, incarnando così il suo sogno di essere un performer e di essere amato da un uomo senza avere etichette. Una persona infine che non ha tempo di trasformarsi nella bandiera di una lotta all’AIDS, ma che affronta finalmente tutto in modo potente e si impegna a dare il massimo per il concerto del Live Aid.
E appena si apre il sipario davanti alla folla immensa di Wembley di colpo eccolo lì: un tuffo al cuore ! Nell’ inquadratura dei suoi occhi decisi puntati sui tasti di un piano premuti con forza a suonare le prime note di “Bohemian Rhapsody”. Tutto il film si trasforma in quello che hai cercato fino a quel momento: l’illusione che sia tornato, la pretesa di avere ancora un po’ di tempo con Freddie Mercury, con i Queen che hai amato, con l’uomo forte, simpatico, eccentrico e trasgressivo che calca il palco, che incitando la folla la tiene in pugno, che fa alzare in piedi persino le persone in una sala cinematografica che cantano e battono le mani mentre lo guardano rapiti. E una macchina da presa indugia piu’ volte sui suoi occhi azzurri perché riflettono l’infinito del cielo che si riverbera nella sua anima e di rimando riecheggia nella nostra, che in quegli istanti, in quelle inquadrature perfette, in quelle travolgenti sensazioni, ha ritrovato quello per cui era venuta: il suo infinito amore per Freddie, per la sua vera essenza, per la sua vera anima. Una carezza agli spettatori attraverso un pugno alzato che, come lui stesso dirà, spaccherà il cielo di Wembley rendendolo immortale.
Voto: 6 e ½
Ombretta Stefanoni