Marco Antonio Andolfi non c’è più.
Ad alcuni questo nome potrebbe non dire nulla, per altri invece è stato un mito del cinema di Genere made in Italy.
Veniva definito l’Ed Wood italiano, per aver girato quello che è considerato il più brutto film del cinema italiano. Esagerazioni, la sua vita ne è stata colma. La sua opera prima, poco compresa, di certo aveva un forte lato strampalato, come lo aveva il suo autore. Si tratta de La croce dalle sette pietre, che Gianluca Nicoletti, nel suo Melog, aveva considerato come anticipatore di Gomorra, perché per primo punta l’occhio sulla camorra, unendola alla licantropia. Il film era anche conosciuto come “La camorra contro il lupo mannaro”, il cui protagonista era l’alter ego anglofono di Marco Antonio: Eddy Endolf. Sempre lui, ma col nome cambiato.
Un film che ha avuto molta sfortuna in Italia [programmato in una sala cinematografica per pochi giorni] ma pare fosse riuscito a far breccia nei paesi asiatici, o almeno così ci raccontava il suo autore.
In Italia, invece, la fama del film mafio-mannaro si deve ai cultori del weird e degli z-movies, ai blog, ai magazine e alle proiezioni da battaglia.
Affascinati da questo titolo molti anni fa lo abbiamo conosciuto al Beba Do Samba, un locale di Roma. Quella sera indossava un lungo accappatoio marrone di spugna, aveva un pacchetto postale sotto al braccio e chiudeva spesso gli occhi, strizzandoli, infastidito dalle luci. Mentre il pubblico romano reagiva con entusiasmo verace alla proiezione, lui non si scomponeva, anzi cercava di spiegare come quella serie di incongruenze, di ricostruzioni grottesche, di colpi di scena annunciati, fosse per lui un film di profonda importanza. Raramente un uomo è riuscito a credere così tenacemente e ciecamente nel suo operato artistico.
Quella sera abbiamo cercato subito un approccio rivolgendogli l’appellativo che poi per anni abbiamo usato come suo nome di battesimo, Maestro, prima di arrivare al più confidenziale Marco Antonio. Ma lui è stato sfuggente, disinteressato e non ci ha dato troppa retta.
Per dare il via al nostro rapporto ci saremmo dovuti sorbire per la seconda volta [di infinite visioni] il suo film a distanza di qualche mese e fargli una corte ancor più evidente e spietata. Marco Antonio amava le lusinghe. Il giorno dopo l’abbiamo invitato a casa nostra per girare una breve scena da annunciatore che usciva da una bara e da lì è nata una lunga amicizia.
Abbiamo passato ore e ore ad ascoltarlo, nel 2008 abbiamo girato con lui il sequel del mitico film [un mediometraggio dal titolo Riecco Aborym] e nel 2010 abbiamo deciso anche di creare una trasmissione radiofonica intorno a lui [Zizzanica/mente], nella quale metterlo al centro dell’attenzione che, da artista, bramava.
Ci ha raccontato di quando da piccolo viveva nella tana di una volpe per sfuggire al padre cattivo e a una matrigna antipatica e pescava i pesci a mano dal fiume per nasconderli in una cisterna, di quando è stato campione italiano di Decathlon [con tanto di foto a testimonianza], di quando stava per sposare una contessina tedesca, di cene crapulone e goderecce in via del Babuino quando frequentava l’ambiente cinematografico, della volta in cui Sophie Marceau si è innamorata di lui ma lui non capiva il francese, di quando si è lanciato nel Tevere ed è morto. Ma non era morto, era vivo, nonostante avesse subito un grande furto e un’importante estorsione nell’est Europa.
Negli ultimi anni era rimasto sempre più isolato e dolorante, raccontava di malattie incurabili e grossi problemi, ma lo incontravamo sempre loquace e in buona salute, quindi pensavamo si trattasse di un modo di attirare l’attenzione con la malattia, come fosse il protagonista di un romanzo di Italo Svevo.
Non ci vedevamo spesso ma ogni tanto avevamo occasione di incontrarci e negli ultimi anni abbiamo avuto modo di organizzare un’altra proiezione dei suoi due lavori. La più grande e importante della storia del suo film e della sua carriera da Ed Wood italiano: quella per il trentennale de La croce dalle sette pietre.
Finalmente una grande sala cinematografica, qui a Roma, un double bill con il sequel, una colorita discussione fine a tarda notte e tante foto e abbracci con i fan divertiti.
Poi silenzio, pausa. Succedeva nel nostro rapporto, come in tanti altri.
Sono passati alcuni mesi e a marzo abbiamo deciso di risentirlo, dispiaciuti di non averlo cercato per molto tempo.
Telefoni staccati e nessuna risposta alle mail e ai messaggi.
Abbiamo chiesto ad amici comuni, ma nessuno ne sapeva nulla.
Allora siamo andati a chiedere ai Carabinieri, con l’idea di sporgere denuncia e sapere dove fosse. Ma la risposta è arrivata abbastanza presto.
Marco Antonio Andolfi, figlio di Andolfi Luigi e Calenzano Edvige, è morto il 14 dicembre 2018 nell’ospedale di Rocca di Papa.
Resta il dispiacere di aver perso un amico, di non averlo salutato nella fretta frenetica dei giorni.
Resta il suo piccolo mito, di storie apparentemente inverosimili e film d’eccezione.
DoppioSenso Unico [Luca Ruocco & Ivan Talarico]