I cineasti possono fare fatica a distinguersi all’interno dell’affollato genere serial killer. Per Fatih Akin, , la soluzione è aver reso il suo film il più respingente possibile e difficilmente dimenticabile.
Il film è basato su un romanzo tratto dalle gesta di Fritz Honka, mandato in prigione in Germania dopo che la polizia aveva scoperto i corpi smembrati di diverse donne nel suo appartamento di Amburgo negli anni ’70. Fortunatamente, il film risparmia agli spettatori l’aroma della carne in decomposizione del cui odore Honka (Jonas Dassler) cerca ripetutamente di incolpare la cucina dei suoi vicini. “The Golden Glove” si svolge principalmente in due location, una squallida e una più squallida. Una è il bar del quartiere a luci rosse che fornisce il titolo del film, in cui Honka passa il tempo con i reprobi più squallidi di Amburgo e raccoglie prostitute anziane. L’altro è l’attico di Honka, che ha una limitata pulizia quando una Gerda, per lo più ignara, accompagna Fritz a casa una notte . Akin sembra voler ottenere una tensione da commedia oscura. L’antieroe sudato e dai denti marci – i cui occhiali ingigantiscono i suoi occhi quasi da cartone animato – è ritratto come un buffone fino ai momenti in cui, ancora e ancora, improvvisamente scatta e inizia a colpire le donne.
Un film veramente schocking che ha lasciato perplessi molti spettatori che hanno abbandonato la sala per la sua violenza. Un’opera potente e ficcante che è difficile dimenticare ben lontana da serie recenti su temi similari come Mindhunter di Netflix, qui c’è poca analisi cerebrale e psichiatrica e molto emozioni di pancia.
Voto 7
Vito Casale