Al Teatro Stanze Segrete dal 21 novembre all’8 dicembre 2019
Torna a Roma lo spettacolo “Buscetta, santo o boss”, scritto Vittorio Cielo, diretto ed interpretato da Ennio Coltorti, uno dei più grandi doppiatori italiani. Andato in scena l’anno prima, quindi assolutamente indipendente da Il traditore di Marco Bellocchio, la pièce è di nuovo sulle scene forse anche nel tentativo di sfruttare l’ondona mediatica del film che l’Italia ha candidato all’Oscar 2020.
In circa un’ora e venti tutta filata, su un palco “blindato”, Coltorti nei panni del boss e Matteo Fasanella in quelli di un ipotetico uomo dell’FBI che lo interroga, unici mattatori, ci conducono in un serratissimo dialogo quasi senza soste in cui tra i due si fatica a capire chi sia il buono o il cattivo. Il palco è “blindato” perché in un artificio scenografico gli spettatori, seduti nel minuscolo teatro, sono collocati di fronte e ad un lato del proscenio, al di là di pareti a specchio dalle quali i due attori nulla riescono a vedere, rendendo così la loro performance ancora più intensa, assoluta. Solo uno schermo televisivo, posto d’angolo, permette di guardare, oltre a contributi filmati e fotografici di supporto, il boss direttamente negli occhi, come mai fu possibile nella realtà, inquadrato sempre di spalle al Maxiprocesso.
Siamo in una situazione a metà tra Kafka e Dürrenmatt, in un punto temporale tra i primi anni novanta (Falcone e Borsellino sono morti, si parla di bombe messe dalla Mafia, Riina è stato arrestato) e la morte di Buscetta, avvenuta nel 2000 e lui, portentoso scacchista, accenna le sue pesanti verità, le gioca come pedine su una scacchiera, in un siciliano stilizzato, ma accettabile (il suo reale accento era in realtà motlo più bizzarro complesso, avendo vissuto in giro per mezzo mondo), facendo illazioni e supposizioni su moventi e mandanti dei fatti di sangue avvenuti all’inizio di quel decennio.
Tutto vero. Tornò infatti a parlare con gli americani proprio dopo la scomparsa del suo grande amico Giovanni Falcone, ancora più schifato da quella Mafia – al di lù di ogni possibile giudizio – in cui già da tempo non si riconosceva più.
Uno spettacolo che regala un’interpretazione, quella di Coltorti/Buscetta, sofferta, umana e che non offre neanche un attimo di respiro o di cedimento e che si meriterà uno per uno tutti gli infiniti applausi che un pubblico curioso ed intelligente non vorrà negargli.
Paolo Dallimotni