Scheda film
Regia: Olivier Dahan
Soggetto e sceneggiatura: Arash Amel
Fotografia: Eric Gautier
Montaggio: Olivier Gajan
Scenografia: Dan Weil
Costumi: Gigi Lepage
Musiche: Christopher Gunning, Guillaume Roussel
Francia/Italia, 2014 – Drammatico – Durata: 113’
Cast: Nicole Kidman, Tim Roth, Frank Langella, Paz Vega, Park Posey
Uscita: 15 maggio 2014
Distribuzione: Lucky Red
I panni sporchi non si lavano in famiglia
Il pubblico è sempre molto incuriosito e affascinato dalle storie di principesse e famiglie reali. Ne è una riprova la frenesia e la “morbosità” dei media che circondano i matrimoni reali e tutte le occasioni che vedono i sovrani di turno impegnati, con un occhio di riguardo in particolare a questioni di carattere privato (scandali ed eccessi compresi). Per questo lavare i panni sporchi in famiglia diventa compito arduo quando sei costantemente monitorato e giudicato dall’opinione pubblica per quello che fai e per come lo fai. Il fatto che anche la Settima Arte e i suoi esponenti decidano di mettere le storie di questi o quei regnanti al centro di pellicole destinate al grande schermo non può non attirare l’attenzione delle platee, ma soprattutto di coloro che in e da quel dato film vengono raffigurati e raccontati. Vuoi o non vuoi, il cinema è capace di calamitare a sé vagonate di spettatori a tutte le latitudini e persino influenzarne il giudizio, pertanto è impossibile che coloro che sono protagonisti di quei film non si interessino a come la rispettiva immagine pubblica e privata viene da e in essi rappresentata. Esempi come The Queen o il recente Diana, con polemiche annesse, confermano quanto detto. Dunque, non bisogna stupirsi del fatto che un’opera come Grace di Monaco sia finita al centro di una querelle che vede contrapposti da una parte gli attuali sovrani monegaschi indignati e pronti al boicottaggio, dall’altra i firmatari della pellicola capitanati dal regista Olivier Dahan, con gli organizzatori del Festival di Cannes che l’hanno scelta come apertura della 67esima edizione a fare da terzo incomodo.
Le suddette polemiche che da giorni rimbalzano sui network anche prima della presentazione sulla Croisette con botta e risposta tra le parti in causa, legate soprattutto al modo sbagliato in cui viene raffigurato Ranieri secondo quanto sostenuto dai figli Alberto, Stephanie e Caroline, ha di fatto messo da parte gli effettivi valori espressi dal film. Valori che come vedremo non sono, fatta eccezione per qualche elemento degno di nota, particolarmente esaltanti. Un’analisi critica mette in vetrina, infatti, i limiti più che evidenti, in primis sul piano strettamente drammaturgico. La fragilità della struttura architettonica del racconto, unita alla mancanza di scorrevolezza della e nella narrazione soggetta a continui passaggi a vuoto, creano un primo e più concreto ostacolo alla riuscita della sceneggiatura che, di riflesso, si ripercuote negativamente sulla trasposizione in immagini. L’impianto dialogico e la progressione cronologicamente lineare dei fatti appaiono forzati e meccanici, nonostante le più che pregevoli interpretazioni offerte dagli attori, a cominciare dalla Kidman e da Roth, rispettivamente calatisi nei panni di Grace Kelly e del Principe Ranieri III.
Il titolo del film potrebbe trarre in inganno il potenziale spettatore, a sua volta convinto di trovarsi al cospetto di un biopic, cosa che va subito chiarita. Dahan circoscrive a soli due anni l’arco temporale della vicenda, ossia al 1961-1962, per cui non si può e non si deve parlare di ritratto biografico dedicato alla Kelly. Abituato a districarsi nel labirinto dei generi, tra cui proprio la biografia con La Vie en Rose (pluri-premiato omaggio a Edith Piaf), Dahan si avventura ora nel terreno minato della favola romantica, partendo dalla storia di una grande star di Hollywood divisa tra presente e passato, costretta a fare i conti con il desiderio di tornare ad apparire sul grande schermo e il suo nuovo ruolo di madre di due bambini, regnante su un Principato europeo e moglie di un Sovrano. Il tutto sullo sfondo di una crisi diplomatica e familiare.
Nel caso dell’ultima fatica dietro la macchina da presa di Dahan – l’ottava per la precisione – la mancanza di solide basi drammaturgiche innesca un’inesorabile reazione a catena che, risparmiando come già detto le singole performance degli attori coinvolti, finisce con l’appiattire il lavoro di messa in quadro. Il regista francese opta per uno stile leccato e patinato, con una pulizia e una precisione del movimento di macchina che genera una succisone di inquadrature curate e interessanti dal punto di vista della composizione. L’eleganza e la sobrietà della resa estetico-formale risulta funzionale alla storia e a ciò che racconta, ma la strizzatine d’occhio al cinema americano degli anni Sessanta che è alla base delle scelte registiche e fotografiche appiattiscono e rendono anonimo e invisibile il lavoro di un Dahan da sempre capace di dare varietà e allo stesso tempo personalità al suo cinema. In Grace di Monaco si affida a carrellate e piani sequenza in steadicam assolutamente fini a se stessi che restituiscono una povertà e una mancanza di soluzioni visive nel progetto stilistico complessivo, a favore di una sterile fruizione di natura televisiva.
Voto: 5
Francesco Del Grosso