Scheda film

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Lars Von Trier
Fotografia: Manuel Alberto Claro
Montaggio: Molly Malene Stensgaard
Suono: Andreas Hildebrandt
Danimarca/Germania/Francia/Belgio/G.B., 2013 – Drammatico – Durata: 113′
Cast: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Willem Dafoe, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Jamie Bell, Mia Goth
Uscita: 17 aprile 2014
Distribuzione: Good Films

 L’albero deforme sulla cima di una collina

Avevamo lasciato Joe sgomenta, alle prese con l’improvvisa e destabilizzante incapacità di trarre piacere: ed è proprio da questa imprevista “mutilazione” che Nymphomaniac vol. II recupera le fila del discorso, accompagnando la protagonista nella prosecuzione del suo racconto, in quegli ultimi tre capitoli che affrontano la sua maturità e gli sviluppi del suo rapporto con il sesso.
La vena ironica e dissacrante del primo capitolo stempera notevolmente i toni in questo secondo segmento di narrazione, che – pur continuando a sfruttare il gioco delle allegorie e delle metafore – si permea di un carattere ben più cupo e dolente: la freddezza cinica della giovane Joe, disposta a calpestare chiunque pur di trovare la propria soddisfazione, lascia spazio all’inquietudine e al senso di inadeguatezza della Joe ormai adulta, che coglie la problematicità del suo spirito e che finisce per sentirsi ingabbiata dalla sua stessa natura. Nymphomaniac vol. II si inerpica nel territorio del senso di colpa, del rapporto fra gioia e dolore, del disagio e dell’isolamento, ma allo stesso tempo celebra la riscoperta dell’io, l’accettazione di sé, il recupero della propria dignità a dispetto dell’ambiente circostante: tuttavia – come già ampiamente dimostrato dal primo capitolo, sia pure più blandamente – c’è decisamente poco ottimismo anche in questo progetto di Lars Von Trier, ritratto livido di un’umanità incapace di ascoltare, buonista e ipocrita. Joe – apparente carnefice – è in realtà sempre più vittima della ferocia dell’ambiente che la circonda: è senz’altro in questo disegno che si inserisce l’esplosivo finale a sorpresa, ennesima esemplificazione non solo di incomunicabilità, ma anche della superficialità, gratuita approssimazione e noncuranza con la quale gli esseri umani inseguono la soddisfazione personale. In questo senso non c’è troppa differenza tra la protagonista e gli individui che la circondano, sebbene le impalcature del costume e della morale condannino Joe al biasimo e all’umiliazione: il nodo centrale è quindi ancora una volta il rapporto fra universo maschile e femminile, ma soprattutto fra il singolo e il branco, con tutte le geometrie che ne derivano e la difficoltosa ricerca di equilibrio nei rapporti (in questa direzione è interessante osservare come si sviluppi anche la definizione della “cornice” del racconto, con l’evoluzione del dialogo fra Joe e il suo “confessore” Seligman, autentico detonatore del percorso di auto-comprensione della donna).
Dopo lo slancio concitato del primo segmento, che inseguiva la gioventù impetuosa di Joe assorbendone la famelica attitudine alla vita, la seconda parte del progetto procede con un ritmo più cadenzato, adatto a restituire in pieno la dimensione di autodistruzione nella quale è sempre più immersa la protagonista: con il passare degli anni Joe perde la freschezza e l’inconsapevolezza del suo spirito e si trasforma in un’imperfetta eco di se stessa, devota al culto del piacere e disposta a sacrificare ogni affetto, ogni scampolo di “routinaria normalità” pur di continuare la sua forsennata ricerca di piacere (e non stupisce quindi che gli unici scampoli di soddisfazione e serenità di questa vorticosa discesa negli abissi si consumino nell’asettico studio di un professionista della violenza sadomaso). Asciugata di ogni entusiasmo e relegata ormai ai margini della società – tanto da mettere a servizio dell’illegalità le sue competenze – Joe affronta le conseguenze delle sue scelte e si prepara a sublimare la sua concitata vita sessuale, definendo le traiettorie di una nuova svolta che passa attraverso l’autocoscienza, il rispetto per la propria natura e una sorta di castrazione dei propri istinti (a conferma della perfetta coerenza tematica di Nymphomaniac rispetto alla filmografia del suo autore): autentica icona della sofferenza, Joe sembra sempre più appena fuggita da una tela di Egon Schiele, là dove l’ossessione erotica si trasforma in un inquietante ritratto dalle forme respingenti. Il sesso si rivela quindi chiave di lettura di un disagio ben più radicato che passa attraverso l’impossibilità di esprimere liberamente il proprio io, e la Trilogia della Depressione si chiude con un’amara constatazione di impotenza.
Progetto monumentale ed ambiziosissimo Nymphomaniac gioca al rialzo, amplificando la portata dissacrante delle sue riflessioni, puntando i riflettori su una vastissima gamma di tabù, correndo pericolosamente sul filo della costante provocazione: grottesco e discutibile, Von Trier ancora una volta celebra se stesso, dando forma alle sue frustrazioni e alle sue incertezze, moltiplicandosi caleidoscopicamente in diversi personaggi, in un gioco di specchi che da un’unica immagine trae lo spunto per una costruzione narrativa ben più complessa che gli consente di dare sostanza a tutte le sue contraddizioni.
Tra palesi autocitazioni, digressioni, ammiccanti riferimenti religiosi, visioni mistiche, frustate, pedofili e tradimenti, Nymphomaniac si conferma la lucida rappresentazione del pessimismo che pervade Von Trier: non c’è speranza, non c’è redenzione. Ancora una volta al buio – in un’ideale ringkomposition che si riaggancia ai due minuti di nero che aprono il progetto – c’è spazio però per suggerire una risata, beffarda e risolutrice, a coprire amaramente l’ennesimo fallimento dell’essere umano, preda dei suoi istinti.

Voto: 7 e ½

Priscilla Caporro